Inca

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L'impero inca al massimo della sua espansione
Le date sono indicative e sono desunte dalla cronologia proposta da del Busto Duthurburu. Nella sua ricostruzione il punto di partenza è determinato dall'arrivo dei Chanca che è fissato nel 1438. Altri studiosi hanno ricostruito l'epoca di espansione inca con diversi riferimenti storici. Tra di loro si segnalano Rowe e Means che hanno indicato la data di invasione dei Chanca nel 1400, con conseguente anticipazione di quelle successive e ampliamento dei regni di Tupac Yupanqui e di Huayna Capac. Alla loro cronologia si rifà in parte anche la storica contemporanea Maria Rowstorowski.

L’Impero Inca, nel XV secolo, poco prima della conquista europea del Nuovo Mondo, occupava una vasta area sulla costa occidentale del Sudamerica, che comprendeva il Perù, l’Ecuador, la Bolivia, il Cile, l’Argentina nordoccidentale. Il nome (in quechua, la lingua parlata dalla popolazione, inca significa "re", "imperatore"), che designava i sovrani dell'impero inca, passò poi a indicare anche i suoi sudditi e in termini archeologici si riferisce a una specifica cultura e civiltà precolombiana.

Gli inca costituivano originariamente una tribù guerriera che abitava le regioni degli altipiani nel sud della cordigliera peruviana. Secondo la leggenda, il primo imperatore, Manco Capac, era stato mandato sulla Terra dal padre, il Sole, intorno al XII secolo dell'era cristiana e si era stabilito a nord del lago Titicaca (dove sorge Cuzco): qui per circa trecento anni gli inca si scontrarono con le tribù vicine – i chanca, i colla, i lupaca e altri – imponendo e subendo razzie e tributi, ma senza dar vita a un vero e proprio regno.

Indice

Ricerche archeologiche

Malgrado le promettenti premesse iniziali, l'archeologia non ha permesso di dipanare il mistero dell'origine degli Inca. Scavi approfonditi nell'area del Cuzco hanno tuttavia dimostrato che l'uso della ceramica inca appare improvvisamente su un anteriore substrato estraneo, a riprova dell'arrivo dei suoi utilizzatori, in situ, quando erano già in possesso delle necessarie tecniche artistiche e costruttive. Successive investigazioni su reperti apparentati trovati in altre aree centroamericane non hanno invece consentito di riconoscervi una origine comune essendo prevalente l'opinione di uno scambio limitato tra diverse culture.

Manufatti di natura inca, prevalentemente metallici, sono stati in effetti ritrovati in tutto il continente sudamericano, ma sono frutto di scambi o di razzie essendo i loro possessori ad un livello culturale nettamente inferiore a quello peruviano.

Si osserva al proposito che l'esistenza dell'impero inca era già nota ai portoghesi almeno dieci anni prima della sua scoperta, grazie ai racconti degli indigeni della regione del Rio de la Plata con cui erano in contatto. Un avventuriero lusitano, Alejo García, partecipò personalmente, nel 1526, ad una spedizione effettuata dagli indigeni Guaraní a scopo di razzia giungendo, attraverso la selva, fino ai confini orientali del regno di Huayna Capac.

I miti delle origini

Il ricordo di una migrazione umana dal Centroamerica all'emisfero Sud del continente traspare in numerosi miti raccolti, dai primi colonizzatori spagnoli, già negli anni immediatamente successivi alla conquista. La maggior parte di questi racconti leggendari sono riferiti ad un'indistinta umanità senza distinguere tra le differenti razze, ma alcuni sono specifici di particolari zone geograficamente circoscritte. È questo il caso del suggestivo mito di Naymlap raccolto da Cabello de Balboa che ipotizza una migrazione per mare da Nord fino alle coste centrali peruviane. Si tratta di un antico cantare, molto articolato, che però non ci aiuta a sviscerare il problema delle origini degli Inca essendo attinente solo alle popolazioni della costa.

Diverso è il caso del mito tramandato da Anello Oliva nella sua "Historia del reino y provincias Perù". Anche questo racconto ha per scenario la costa peruviana, ma si riallaccia, nella parte terminale, alla nascita degli Inca. Secondo gli informatori di Oliva i primi abitatori del Perù sarebbero giunti da Nord e si sarebbero stanziati nella punta Sant'Elena il promontorio che anticipa il golfo di Guayaquil per i naviganti che giungono dall'Istmo di Panamá. Il loro re, Tumbe, promosse senza esito alcune spedizioni verso il meridione e lasciò il regno a due figli, Quitumbe e Otoya che ben presto si trovarono in disaccordo. Quitumbe abbandonò il paese con numerosi fedeli e giunse fino all'attuale cittadina di Tumbez, per fondarvi un proprio regno. Otoya invece restò nel luogo di origine, ma si dette a una vita viziosa e scellerata che provocò a lui e ai suoi sudditi un proverbiale castigo. La loro terra venne invasa da un razza di giganti (vedi gli Olmechi e i Sumeri, probabilmente popolazioni nere, molto più alte degli indios, che vennero create come Lulu, ibrido Anunnaki-Homo Erectus) che fecero scempio dei poveri indios. I giganti vennero infine sterminati da un dio giovane e volante (probabilmente Thot/Ningishzidda/Quetzalcoatl) che li fulminò tutti dall'alto con dei getti di fuoco, ma era ormai troppo tardi per Otoya, morto in prigione e per il suo popolo decimato e disperso.

Quitumbe frattanto continuava la sua opera di colonizzazione del territorio giungendo con i suoi fino alle valle del Rímac, nei pressi dell'attuale Lima, dopo aver scoperto e popolato la fertile isola di Puna nei pressi di Tumbez. Preso dai suoi sogni aveva dimenticato la moglie che lo aspettava nel regno del fratello e a cui aveva promesso di ritornare, quando era partito dopo la morte di Tumbe. Costei, Llira, era gravida alla sua partenza e lo attese con fiducia, per dieci anni, dopo aver partorito un figlio a cui pose il nome di Guayanay che significa "rondine". La notizia delle conquiste di Quitumbe giunse infine alla giovane che comprese di essere stata abbandonata. Tramutatosi il suo dolore in odio, Llira cercò il modo di ferire, il più crudelmente possibile, lo sposo infedele. Nella sua ira maturò il disegno di rivolgere la sua vendetta sul figlio comune, immolandolo al suo risentimento e avrebbe dato corso al suo insano proposito se un'aquila non fosse intervenuta a rapire il fanciullo poco prima del sacrificio.

Guayanay venne lasciato dal provvidenziale rapace in un'isola flottante che si spostava sul mare e imparò ben presto a sopravvivere alle avversità della natura. Il racconto prosegue narrando le peripezie del giovane che, dopo qualche anno di solitudine, si arrischiò a guadagnare la terra ferma, ma venne catturato da alcuni indigeni. Venne destinato al sacrificio, ma ancora una volta la sorte gli fu benigna. Una fanciulla del luogo, Cigar, la figlia del capo villaggio si invaghì di lui e lo liberò prendendo la fuga insieme al suo innamorato. Dovettero lottare contro gli inseguitori, ma Guayanay era forte e coraggioso e uccise quattro guerrieri mettendo in fuga gli altri. Infine furono in mare con quattro compagni e raggiunsero l'isola flottante.

Il tempio di Pachacamac.

Quitumbe nel frattempo era deceduto, ma prima di morire aveva edificato il santuario di Pachacamac e, benedetto dalla divinità, aveva risalito le Ande e fondato il regno di Quito. Il suo erede Thoma aveva emanato severe leggi contro l'adulterio e a far le spese delle nuove disposizioni era stato proprio uno dei suoi figli che, colto in flagrante, era stato costretto alla fuga assieme ad altri suoi compagni per fuggire alla morte. Inseguiti da presso erano giunti fino al mare e si erano avventurati sulle onde a bordo di una zattera di fortuna. Una tempesta li aveva scaraventati proprio sull'isola di Guayanay e i due gruppi si erano fusi in uno solo. Alla morte di Guayanay, suo figlio Atau si trovava alla testa di un gruppo di più di ottanta uomini e l'isola non era più in grado di sostentare una tale moltitudine. Atau era però avanti negli anni e non si sentì di affrontare i pericoli di un viaggio in terraferma, che ormai si rendeva indispensabile, perciò invitò suo figlio a condurre il gruppo dei sopravviventi alla ricerca di una terra in cui vivere. Il giovane condottiero si chiamava Manco ed era destinato a fondare l'impero degli Inca.

Manco non si fece pregare per lasciare l'isola. La sua nascita era stata accompagnata da fausti presagi e il suo popolo si attendeva di essere guidato da lui verso la prosperità per cui tutti furono lieti di accettare il suo invito a seguirli sulla terraferma. I partenti si divisero in tre gruppi, ognuno su una flottiglia di canoe. Due di questi gruppi si diressero verso Sud e, malgrado avessero convenuto di far avere loro notizie, nessuno seppe più nulla di loro.

L'altro gruppo, con Manco alla testa, stanco delle traversie occorse sul mare, distrusse le canoe e si inerpicò sulle Ande. Dopo un lunghissimo peregrinare raggiunsero il lago Titicaca che presero per un altro mare, data la sua grandezza. Altre genti abitavano il luogo e Manco ebbe un'idea. Abbandonati i suoi compagni, si nascose in una caverna raccomandando ai suoi seguaci di sostenere di essere lì per onorare il figlio del Sole, la cui imminente nascita in quei paraggi era stata pronosticata da alcuni oracoli.

Pur non comprendendone la ragione i suoi accompagnatori sostennero questa versione quando furono interrogati dai nativi che li guardavano con sospetto. Il sospetto si tramutò in incredulità, quando fu noto il motivo della loro venuta, tuttavia furono lasciati girovagare, seppur guardati a vista.

Quando giunsero nella località di Pacaritambo, da una caverna a tre uscite, videro sorgere un giovane splendente i cui abiti, ricoperti di scaglie d'oro, riflettevano il sole. Era Manco che i suoi fedeli riconobbero immediatamente, ma che intuendo il suo disegno, onorarono come una divinità. Gli indigeni che erano con loro, semplici e ingenui, si unirono alle loro genuflessioni e, in breve, la novella si sparse per tutta la regione. Il dio Sole aveva mandato un figlio sulla terra per governare gli uomini. L'epopea degli Inca era iniziata.

Questo mito è assai suggestivo perché abbraccia tutta la presunta la storia degli Inca dal loro ingresso in Perù fino alla nascita della dinastia che avrebbe dominato l'altipiano andino, tuttavia ha il difetto di essere isolato, anche se la modalità della comparsa di Manco ha riscontri anche in altre leggende. Gli spagnoli che per primi investigarono sulle origini della stirpe che avevano appena sconfitto riportarono, però, dei racconti più consoni alla dignità del capostipite degli Inca che era raffigurato come un veritiero figlio del Sole, chiamato Inti.

Il più importante di questi miti ci è stato tramandato da Pedro Sarmiento de Gamboa nella sua "Segunda parte de la historia general llamada indica" del 1572 ed è conosciuto generalmente come la "Leggenda dei fratelli Ayar".

Manco Capac
(Guaman Poma de Ayala).

Anche in questo caso Manco nasce in Pacaritambo, da una caverna situata nella collina di Tambutoco, ma assieme a lui sorgono altri tre fratelli e quattro sorelle, tutti usciti dalla finestra centrale, mentre da due aperture laterali prendono vita altre persone destinate a costituire il popolo Inca. Il mito prosegue narrando le vicissitudini di queste genti che si spostano per la contrada cercando delle terre fertili. Durante la loro marcia tre dei fratelli abbandonano la compagnia, uno, di nome Ayar Cache, eliminato per la sua ferocia; un altro, Ayar Ucho, trasformato in pietra a scopi magico-religiosi e il quarto, Ayar Auca autoimmolatosi nella conquista della sede del futuro regno, che avrebbe avuto nome Cuzco. Rimasto solo Manco, ormai chiamato Manco Capac, il possente signore incontrastato, accasatosi con una delle sorelle, Mama Ocllo, avrebbe dato origine alla dinastia Inca.

Garcilaso Inca de la Vega presenta una variante di questo mito assai apprezzata per la forma poetica con cui è stata immortalata nei suoi "Commentarios reales". La coppia primordiale è qui unica, costituita da Manco Capac e da Mama Ocllo e sarebbe nata dalla mitica finestra sulla collina di Tambutoco, generata da Inti, il Sole con il compito di cercare il sito più adatto per fondarvi la futura stirpe degli Inca. A questo scopo avrebbe avuto in dono una verga d'oro con cui saggiare il terreno per provarne la fertilità. Dopo vari tentativi e lunghe peregrinazioni i due sposi, fratello-sorella, sarebbero giunti nella zona del Cuzco dove la verga, appena appoggiata a terra sarebbe sprofondata senza sforzo. Rese grazie al divino genitore, Manco Capac e Mama Ocllo, avrebbero costruito un tempio in suo onore e successivamente attorno a questo sacro edificio avrebbero fondato la futura capitale dello stato inca.

Oltre a questi miti ufficiali che celebravano la maestà degli Inca, gli spagnoli hanno raccolto altre tradizioni meno edificanti che mettevano l'accento piuttosto sull'impostura di Manco Capac, già adombrata nel racconto di Oliva. Secondo queste versioni Manco sarebbe stato il figlio di un capo locale, educato fin dalla fanciullezza a credersi figlio del Sole e avrebbe finito per identificarsi talmente nella parte al punto di dimenticare la sua vera origine. Al momento opportuno, quando cioè sarebbe apparso agli ingenui abitanti dell'altipiano andino, avrebbe impersonato il proprio personaggio con una naturalezza così spontanea da convincere facilmente i suoi futuri sudditi ad accettarlo come sovrano.

Accanto a questo mito, raccolto nelle "Informaciones a Vaca de Castro", esiste anche una variante francamente dispregiativa che sostituisce il genitore di Manco con una fattucchiera di dubbia moralità che lo avrebbe allevato con lo scopo di preparare l'inganno sulla sua nascita aiutandosi con pratiche magiche e ignobili sortilegi. Queste versioni, ovviamente, furono il risultato di racconti attinti presso le etnie nemiche degli Inca e a loro soggette prima dell'arrivo degli spagnoli. Le riporta, tra gli altri, Felipe Guaman Poma de Ayala nella sua Nueva Corónica y Buen Gobierno.

L'espansione dell'impero

La nascita dell'impero inca, sulla spinta di una notevole espansione del territorio controllato dai suoi guerrieri, iniziò durante il regno dell'ottavo sovrano, Viracocha, vissuto all'inizio del XV secolo, e fu proseguita sotto suo figlio Pachacuti fino alla conquista dell'intero bacino del Titicaca. Attorno al 1437 i possedimenti inca si estendevano per quaranta chilometri oltre l'area di Cuzco, inglobando i territori dei mochica, dei nazca, degli huari, popolazioni assoggettate dalle quali gli inca assorbirono pratiche agricole, cultura e religione. Il figlio di Pachacuti, Topa, arrivò a sottomettere, a nord, il potente regno costiero dei chimú, ancor prima di salire al trono nel 1471, quando cominciò a spingersi invece lungo le Ande meridionali.

Le lotte dinastiche

Nel 1525, sotto il regno di Huayna Cápac, succeduto a Topa nel 1493, l'impero comprendeva le terre dall'attuale Colombia meridionale, attraverso gli odierni Ecuador, Perú e Bolivia, fino a Cile e Argentina: 300 chilometri in longitudine e 3000 in latitudine, con oltre dieci milioni di sudditi. Alla morte di Huayna Cápac, nel 1527, si scatenò una durissima lotta per la successione tra i suoi figli, Huáscar e Atahualpa, padroni l'uno dei territori meridionali dell'impero, con capitale Cuzco, e l'altro di quelli settentrionali, con capitale Quito, fondata dal padre proprio per far fronte alle difficoltà di amministrare gli ampi domini del Nord. Ne uscì vincitore Atahualpa, che fece uccidere il fratello, ma che tuttavia non riuscì a farsi riconoscere imperatore.

La conquista spagnola

La guerra civile aveva indebolito fortemente l'impero, che diventò facile preda dei conquistadores spagnoli giunti nel 1532 sotto il comando di Francisco Pizarro. Di fatto gli inca non opposero grande resistenza, convinti della natura divina degli invasori e vittime della struttura fortemente centralizzata dell'impero, per cui Pizarro poté ottenerne il pieno controllo semplicemente catturando Atahualpa: questi offrì una stanza piena d'oro come prezzo del proprio riscatto, ma nonostante ciò nel 1533 venne fatto strangolare. La struttura dell'impero inca sopravvisse tuttavia ancora per qualche tempo in coabitazione conflittuale con la struttura amministrativa creata dagli spagnoli in Perù fin dal 1535. Sul trono si succedettero gli inca Manco Capac II (1536-1545), suo figlio Sayri Tupac (1545-1560) e Titu Cusi (1560-1571). Il successore di quest'ultimo, Túpac Amaru, quando ormai lo splendore e la potenza d'un tempo erano un ricordo, effettuò un estremo tentativo di ribellione contro gli stranieri oppressori, ma, catturato, venne impiccato nel 1572. Privo ormai di un capo, l'impero si sgretolò rapidamente, benché numerosi continuassero a essere i tentativi di insurrezione nei confronti dei conquistatori, che tuttora, pur in forme nuove, contrappongono in America latina indios a creoli, non a caso talvolta ancora in nome di Túpac Amaru.

Società

Gli Incas svilupparono un sistema politico e amministrativo che non ebbe uguali tra le civiltà precolombiane del continente americano. L'impero si reggeva su un sistema di potere rigidamente gerarchico, basato a sua volta sull'attività militare dell'aristocrazia e sullo sfruttamento delle masse agricole sottomesse. Il sovrano, chiamato sapa-inca (imperatore sacro), era ritenuto l'incarnazione del dio supremo, il Sole (Inti), ed era signore di ogni cosa; nelle rare occasioni in cui si mostrava al popolo, trasportato su una lettiga ornata di metalli preziosi e piume di pappagallo, era preceduto da servitori che spazzavano la strada e da soldati con armature placcate d’oro e d’argento; tutto ciò che il sapa-inca toccava diventava tabù e non poteva essere riutilizzato né toccato: una volta all’anno veniva bruciato e disperso al vento. Nella gerarchia, sotto l’imperatore vi erano i membri della sua famiglia e quelli dell'aristocrazia militare, i sacerdoti, gli amministratori imperiali, la piccola nobiltà locale e infine la grande massa di artigiani e contadini, spesso soggetta a trasferimenti forzati per recidere ogni legame con i luoghi d'origine e ridurre al minimo la possibilità di rivolte organizzate. Per marcare le differenze sociali, gli Incas utilizzavano anche gli abiti, che erano di tre tipi. Gli awaskas erano utilizzati da artigiani e contadini in ambito domestico. I qunpis per gli uomini qunpikamayuq (portatori di buoni vestiti) erano usati come moneta di scambio e regalo ai politici alleati, per siglare un’alleanza e adornare i governanti. Infine, i qunpis tessuti dalle aqllas (ragazze vergini del tempio del dio Sole), di qualità migliore rispetto a tutti gli altri, venivano adibiti solo a uso reale e religioso. Le diverse etnie all’interno dell’impero inca si distinguevano in base al copricapo che indossavano e alla forma del cranio, dovuta alla pratica di deformazione attuata sui neonati, le cui teste venivano fasciate per modificarne la forma senza alcun danno al cervello.

Amministrazione ed economia

L'intero dominio era diviso in quattro grandi regioni (il nome dell'impero in lingua quechua era Tahuantinsuyu, letteralmente "terra dei quattro quartieri"), a loro volta ripartite in province, e in un sistema decrescente di unità socioeconomiche, sino alla proprietà familiare conosciuta come ayllu, che costituiva l'unità terriera di base minima. Lo sfruttamento degli ayllu avveniva sotto lo stretto controllo dell'autorità centrale; esperti incaricati dal governo supervisionavano la selezione e la semina delle messi, e insegnavano ai contadini le tecniche di drenaggio, fertilizzazione, irrigazione e terrazzamento. I sistemi di terrazzamento, appresi dagli Incas dalla civiltà degli Huari, consentivano di aumentare la superficie coltivabile e di contrastare l’erosione del terreno dovuta agli agenti atmosferici. Gran parte del raccolto, costituito principalmente da patate e mais, veniva requisita per le esigenze della famiglia imperiale o immagazzinata in vista di distribuzioni pubbliche in casi di emergenza o di bisogno. I lama erano utilizzati come bestie da soma, mentre gli alpaca venivano addomesticati e allevati principalmente per ricavare la lana. Gli artigiani inca producevano ceramiche, tessuti, ornamenti di metallo, utensili in bronzo e armi con belle decorazioni. La civiltà inca non conobbe né l'uso della scrittura né quello della ruota; per mantenere i contatti tra le diverse parti dell'impero le autorità si affidavano a una fitta ed efficientissima rete di strade in pietra, costantemente percorse da squadre di corrieri capaci di coprire quotidianamente anche più di 400 km. La registrazione di truppe, forniture, dati sulla popolazione, inventari diversi era tenuta dai funzionari imperiali (quipu-kamaya, ossia "maestri delle cordicelle") sui quipu, gruppi di cordicelle di differenti colori legate tra loro con speciali nodi.

Religione

La religione inca era il frutto della fusione di tre matrici culturali diverse: la civiltà di Tiahuanaco, quella propriamente inca e quella delle tribù costiere Mochica e Chimú. Vi convivevano quindi tre divinità supreme: una era il dio-bambino Viracocha ("schiuma del mare"), inconoscibile, creatore e sovrano di tutti gli esseri viventi, del sole, della luna e delle stelle; un altro dio era Pachacamac, dio della Luna, in tutto simile all'uomo. Il terzo era Inti, il Sole, creatore degli incas, sposo di mama Quilla (mamma Luna) e padre, oltre che di Manco Capac (l'uomo potente), anche di mama Ocllo (mamma Uovo), sua sorella e moglie. La leggenda narra che Manco Capac e mama Oello erano partiti dal Titicaca e con una bacchetta d'oro consegnata loro dal padre Inti avevano fissato il punto in cui si sarebbero stabiliti, e lì sorse Cuzco; gli inca-sovrani erano perciò ritenuti discendenti del Sole e divinità a loro volta. Il pantheon comprendeva comunque anche altre divinità (huaca) particolari, di tipo animista, che ricordano l'antica religione latina, che attribuiva un dio a ogni singolo elemento della natura, a ogni villaggio, clan e famiglia. Cerimonie e rituali erano numerosi e molto elaborati, connessi primariamente con i cicli agricoli e la cura della salute; nel corso del loro svolgimento venivano sacrificati animali vivi (i sacrifici umani erano meno frequenti). Le feste più grandi cadevano ai due solstizi: le Intip Raymi, in onore di Inti, si protraevano per otto giorni. Del ricco insieme di usanze, narrazioni e musiche inca sopravvivono oggi solo scarsi frammenti. Alle civiltà assoggettate dall’impero era permessa l’adorazione dei loro dei ancestrali a condizione che accettassero la supremazia di Inti. Gli Incas credevano nella reincarnazione. Coloro che obbedivano al codice morale, ovvero “non essere né ladrone, né bugiardo”, andavano a vivere nel regno del dio Sole, gli altri erano costretti a trascorrere in eterno i loro giorni sulla fredda terra. Praticavano anche la mummificazione dei personaggi più illustri, dotando le mummie di oggetti che sarebbero stati utili al raggiungimento della patarina, la destinazione finale, dove avrebbero potuto conversare coi loro antichi antenati, gli huacas.

Mitologia

Gli Incas suddividevano la storia del mondo in cinque fasi. La prima durò ottocento anni ed era simile all'età dell'oro della mitologia classica: gli uomini non morivano e non uccidevano, erano nomadi, vivevano nelle caverne, si coprivano con le foglie degli alberi e lottavano con i giaguari e gli orsi; adoravano un solo dio, Viracocha. La seconda età durò mille e trecento anni: durante questa fase ebbero inizio la coltivazione della terra e lo sfruttamento ordinato delle acque; gli uomini vivevano in abitazioni simili a fornaci e si coprivano con pelli di animali; adoravano un solo dio, il fulmine sovrano del cielo e della Terra, in tre persone, Illapa padre, figlio e figlio minore. La terza età del mondo durò 1132 anni: gli uomini si moltiplicarono, costruirono case di pietra col tetto di paglia e formarono popolazioni governate dai re e dalle leggi e difese dai guerrieri e dalle guerre; migliorarono le tecniche di irrigazione, allevarono lama e alpaca e svilupparono le tecniche di tessitura e tintura dei tessuti; adoravano il signore del cielo, Pachacamac. Alla terza età del mondo e all'eccessivo sviluppo numerico della popolazione terrestre pose fine una terribile epidemia. La quarta età del mondo ebbe una durata di mille e cento anni: fu caratterizzata da periodi di espansione e di conquista, conclusi da periodi di pace e prosperità, durante i quali gli inca svilupparono la coltivazione di mais e patate. La quinta età del mondo, l'età destinata all'affermazione dell'impero inca, era ancora in corso al momento dell'invasione spagnola.

Il tempo e il calendario

Tra gli inca, il tempo veniva misurato attraverso le fasi della Luna. L'anno, di 360 giorni, era suddiviso in dodici lune di trenta giorni ciascuna. I quattro giorni dei solstizi e degli equinozi coincidevano con le feste più importanti del calendario inca, dedicate al dio Inti; i solstizi venivano segnalati a Cuzco mediante pilastri appositi. Le dodici lune del calendario venivano scandite da festività minori, corrispondenti all'inizio di diverse fasi della vita agricola.

Medicina

Gli Incas fecero molte scoperte in campo medico. Curavano le ferite con pezzi di corteccia di un albero di pepe; utilizzavano l’urina per calmare la febbre e le foglie di coca per attenuare la fame e il dolore (recenti studi effettuati dagli studiosi Sewbalak e Van Der Wijk della Erasmus University hanno dimostrato che essi non erano dipendenti da tale sostanza). I chirurghi erano in grado di amputare gli arti e praticavano con successo la trapanazione del cranio.

Arte

La politica assimilazionistica degli Incas è evidente nello stile artistico, che fonde modi e forme delle culture assoggettate in uno stile standard riprodotto e diffuso in tutto l’impero, caratterizzato dalle forme geometriche semplici e astratte e dalle rappresentazioni stilizzate degli animali. Le sculture pseudo-naturali, le cui forme artificiali si riconoscono solo con una particolare luce del sole, mostrano sia il rispetto degli Incas verso la natura sia il loro dominio su di essa. Le ceramiche, utilizzate per fini pratici, riportavano decorazioni che ci permettono di apprendere delle informazioni sulla vita e la cultura della civiltà: per esempio, il fatto che i nobili portassero una lancia. Gli Incas realizzarono inoltre degli splendidi oggetti in oro e altri metalli preziosi applicando uno stile di lavorazione che avevano appreso dai Chimù, ma, a differenza di questi ultimi, sembra che considerassero gli abiti pregiati più preziosi di tali metalli. L’architettura rappresenta la più importante arte inca, in quanto gli edifici venivano edificati con un processo di costruzione “a secco”, appreso dai Tiwanaku. Infatti, le rocce usate erano lavorate per incastrarsi insieme perfettamente sovrapponendo ripetutamente una pietra sull’altra e scavando alcune parti della pietra inferiore, ciò rendeva inutile l’uso della malta per legare i mattoni e conferiva alle costruzioni una straordinaria resistenza e stabilità

Galleria immagini

Collegamenti esterni

http://it.wikipedia.org/wiki/Inca

http://it.wikipedia.org/wiki/Impero_inca

https://it.wikipedia.org/wiki/Mitologia_inca

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