Biblioteca di Alessandria
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La Biblioteca reale di Alessandria fu la più grande e ricca biblioteca del mondo antico ed uno dei principali poli culturali ellenistici.
Andò distrutta nell'antichità in data imprecisata (presumibilmente intorno all'anno 270 o forse verso l'anno 400 e in circostanze misteriose).
Anche in suo ricordo è stata edificata, ed è in funzione dal 2002, la moderna Bibliotheca Alexandrina.
La Biblioteca di Alessandria fu costruita intorno al III secolo a.C. durante il regno di Tolomeo II Filadelfo. Questo polo culturale, annesso al Museo, era gestito da un προστάτης (sovrintendente), ruolo di grande autorità. Il sovrintendente era nominato direttamente dal re (il primo filologo ad occupare tale carica fu Zenodoto di Efeso). Questi dirigeva una squadra di preparatissimi grammatici e filologi che avevano il compito di annotare e correggere i testi delle varie opere. Di ciascuna opera si redigevano delle edizioni critiche, che venivano poi conservate all’interno della Biblioteca. Si suppone che al tempo di Filadelfo i rotoli conservati fossero circa 490.000 (quando non bastò più lo spazio, venne costruita una seconda struttura, la Biblioteca del Serapeo).
Indice |
Origini ad auge
La Biblioteca di Alessandria fu fondata dai Tolomei, una dinastia greco-egizia che trae le sue origini, nel 305 a.C., da uno dei "diadochi" di Alessandro Magno.
È probabile che l'ideazione della biblioteca sia stata di Tolomeo I Sotere[1], che fece edificare anche l'annesso tempio delle Muse, il Museo. La biblioteca fu arricchita nel tempo tra IV e I secolo a.C.
Questo fatto sarebbe comprovato dalla «Lettera di Aristea», la quale attribuisce l'iniziale organizzazione della biblioteca a Demetrio Falereo, amico di Teofrasto e allievo di Aristotele, la cui biblioteca sarebbe servita da esempio per l'ordinamento di quella di Alessandria.
Secondo le fonti, Demetrio fu cacciato da Tolomeo II (figlio di Tolomeo I) all'inizio del suo regno ed è quindi probabile che i lavori di costruzione della biblioteca iniziarono già sotto Tolomeo I.
Sicuramente è da attribuire al Filadelfo l'impulso dato all'acquisizione di opere, soprattutto con il cosiddetto "fondo delle navi". Questa raccolta deve il suo nome al fatto che, secondo un editto faraonico, tutti i libri che si trovavano sulle navi che sostavano nel porto di Alessandria dovevano essere lasciati nella biblioteca in cambio di copie.
Da ricordare che fu in questo periodo (III secolo a.C.) che fu intrapresa la traduzione in greco dell'Antico Testamento che era scritto in ebraico, e che divenne nota come Septuaginta o "Bibbia dei Settanta".
Al tempo di Tolomeo III dovevano esistere già due biblioteche: la più grande, all'interno del palazzo reale, era adibita alla consultazione da parte degli studiosi del Museo, mentre la seconda, più piccola e destinata alla pubblica lettura, si trovava all'esterno della corte, nel tempio di Serapide, il "Serapeum".
Si presume che al tempo di Filadelfo i rotoli conservati nella biblioteca maggiore fossero circa 490.000, mentre quelli della biblioteca del Serapeo ammontavano a circa 42.800.
L'esatta consistenza libraria della Biblioteca di Alessandria, come anche il numero degli autori dei libri, è sconosciuta, dato che molti rotoli potevano contenere più opere e molti di questi potevano essere duplicati.
Bibliotecario | periodo |
---|---|
Zenodoto di Efeso | 282 - 260 (?) a.C. |
Callimaco di Cirene (?) | 260 (?) - 240 (?) a.C. |
Apollonio di Rodi (?) | 240 (?) - 230 (?) a.C. |
Eratostene di Cirene | 230 (?) - 195 a.C. |
Aristofane di Bisanzio | 195 - 180 a.C. |
Apollonio Eidografo (?) | 180 - 160 (?) a.C. |
Aristarco di Samotracia | 160 (?) - 131 a.C |
Il primo direttore della biblioteca fu Zenodoto di Efeso, famoso per l'edizione critica dei poemi di Omero ed al quale si deve la sistemazione in ordine alfabetico del patrimonio librario.
La prima catalogazione delle opere contenute nella biblioteca si deve forse a Callimaco di Cirene, invitato da Tolomeo I ad unirsi al circolo di intellettuali della corte alessandrina.
La sua grande opera, i Pinakes o «Tavole delle persone eminenti in ogni ramo del sapere con l'elenco delle loro opere», è probabilmente una versione dell'elenco per categorie redatto per il catalogo della biblioteca reale.
Dopo la direzione di Apollonio Rodio, nella seconda metà del III secolo a.C. fu a capo della biblioteca il grande geografo Eratostene, che, a differenza dei predecessori, contribuì all'aumento dei trattati di ambito scientifico.
Fu comunque nella prima metà del II secolo a.C. con Aristofane di Bisanzio ed Aristarco di Samotracia che la lessicografia e la filologia alessandrina toccarono l'apice della loro fortuna.
Dopo la metà del II secolo le complesse vicende interne e i disordini sociali non permisero ai Tolomei di proseguire la politica culturale dei predecessori e la Biblioteca ed il Museo persero progressivamente il ruolo che avevano ricoperto in passato.
Distruzione della biblioteca
Fonti antiche e moderne identificano quattro possibili occasioni dove sarebbe potuta intervenire una distruzione parziale o totale della Biblioteca:
- L'incendio del 48 a.C. di Giulio Cesare;
- L'attacco di Aureliano intorno al 270 d.C.;
- Il decreto di Teodosio I del 391 d.C.;
- La conquista araba del 642 d.C.
La conquista di Giulio Cesare
Le fonti riguardanti la fine della Biblioteca di Alessandria sono contraddittorie ed incomplete e rendono ardua una ricostruzione condivisa dell'episodio e della sua datazione. La prima notizia di un incendio che distrusse almeno parte del patrimonio librario concerne la spedizione di Giulio Cesare in Egitto. In seguito ai disordini scoppiati ad Alessandria, un incendio si sviluppò nel porto della città ed avrebbe danneggiato la biblioteca.
Dei sedici scrittori che hanno tramandato notizie sull'episodio, dieci, fra cui lo stesso Cesare nella "Guerra alessandrina", Cicerone, Strabone, Livio, Lucano, Floro, Svetonio, Appiano ed Ateneo non riportano alcuna notizia relativa all'incendio del Museo, della Biblioteca o di libri. Sei di questi forniscono notizie dell'incidente come segue:
- Seneca (49) afferma che furono bruciati 40.000 libri.
- Plutarco (c. 117) dice che il fuoco distrusse la grande Biblioteca.
- Aulo Gellio (123 - 169) riporta la notizia di 700.000 volumi bruciati.
- Cassio Dione Cocceiano (155 - 235) informa che furono incendiati i depositi contenenti grano ed un gran numero di libri.
- Ammiano Marcellino (390) scrive di 70.000 volumi bruciati.
- Paolo Orosio (c. 415) conferma il dato di Seneca: 40.000 libri.
Di tutte le fonti, Plutarco, nella Vite Parallele-Cesare, è l'unico che parla della distruzione della biblioteca riferita esplicitamente a Giulio Cesare.
Prove dell'esistenza della biblioteca dopo Cesare
La testimonianza di una completa distruzione della biblioteca nel corso della guerra alessandrina sarebbe inficiata non solo dalla discrepanza delle fonti, ma anche da altri indizi, che indurrebbero a pensare ad una perdita parziale e non alla distruzione del patrimonio librario.
L'interpretazione più plausibile è che solamente i libri depositati in un magazzino nei pressi del porto furono accidentalmente distrutti dal fuoco. Questa ipotesi sarebbe suffragata da altre fonti, che fanno supporre che la biblioteca fosse ancora in piedi anche successivamente all'episodio narrato. Si sa infatti che Strabone, durante il suo soggiorno in Egitto (25 a.C.-20 a.C.) lavorò nella biblioteca e che un ampliamento degli edifici fu realizzato da Claudio (41-54 d.C.).
La continuità storica della biblioteca sarebbe comprovata anche da un'iscrizione databile alla metà del I secolo d.C. e dedicata a Tiberio Claudio Balbillo, che avrebbe ricoperto un incarico supra Museum et ab Alexandrina bibliotheca.
Dal momento che non si ha nessuna autentica e sicura prova di una distruzione cesariana, le ipotesi sulla fine della Biblioteca di Alessandria rimangono le altre tre.
La guerra di Aureliano contro Zenobia
La distruzione della biblioteca è collocata dalla maggioranza degli storici al tempo del conflitto che oppose l'imperatore Aureliano alla regina Zenobia di Palmira, verso il 270. Nel corso dei feroci scontri ingaggiati nella città di Alessandria, fu raso al suolo il Bruchion, quartiere della città dove si trovavano la reggia e, al suo interno, la biblioteca.
L'editto di Teodosio I
In alternativa a questa teoria alcuni studiosi, basandosi su fonti che attestano la sopravvivenza del Museo fino al IV secolo, hanno ipotizzato che la distruzione della biblioteca vada ricondotta ad una data vicina al 400.
Secondo questa interpretazione, la fine della Biblioteca di Alessandria e del Museo sarebbero collegate a quella del Serapeo, la biblioteca minore di Alessandria, distrutto in seguito all'editto dell'imperatore Teodosio I del 391, ostile alla cosiddetta "saggezza pagana". Secondo altri studiosi quest'ipotesi sarebbe originata invece da una confusione tra le due biblioteche di Alessandria. E dunque la Biblioteca maggiore di Alessandria sarebbe sopravvissuta anche a questo episodio.
La conquista araba dell'Egitto
Fonti più tarde narrano che il generale ʿAmr ibn al-ʿĀṣ, nel 642, alla guida dell'esercito arabo lanciato alla conquista dell'Egitto, dopo la battaglia di Heliopolis, saccheggiò Alessandria e chiese al califfo ʿOmar che cosa doveva fare della biblioteca. Il califfo rispose: «In quei libri o ci sono cose già presenti nel Corano, o ci sono cose che del Corano non fanno parte: se sono presenti nel Corano sono inutili, se non sono presenti allora sono dannose e vanno distrutte». Gli Arabi perciò bruciarono i libri per alimentare le caldaie dei bagni per i soldati ed essi bastarono per sostenere il fuoco per sei mesi. Questo racconto, tuttavia, è stato giudicato non veridico: le prime attestazioni occidentali risalgono alla traduzione della Storia delle dinastie di Bar-Hebraeus (XIII secolo) effettuata da Edward Pococke nel 1663; già nel 1713 il monaco Eusèbe Renaudot lo giudicò mera propaganda.
Nei secoli, altri studiosi condivisero le conclusioni di Renaudot: Alfred J. Butler, Victor Chauvin, Paul Casanova and Eugenio Griffini. Recentemente, nel 1990, l'orientalista Bernard Lewis ha suggerito che il racconto non sia autentico, ma che la sua sopravvivenza sia dipesa dalla sua utilità per la propaganda del condottiero islamico Saladino (vissuto nel XII secolo), il quale avrebbe a suo dire distrutto la collezione fatimide di libri eretici ismailiti al Cairo nel quadro della restaurazione del sunnismo. Perciò Lewis ritenne che la storia del califfo Omar ibn al-Khattab che approvava la distruzione della biblioteca poteva rendere il gesto di Saladino più accettabile per la sua popolazione.
A contraddire decisamente questa versione esiste però l'autorevole testimonianza dello storico arabo al-Maqrīzī (1365-1442) che, nel suo Khiṭaṭ,[2] ricordava come il barbarico svuotamento dei 100.000 volumi della Dār al-hikma e della sua Khizānat al-kutub, "Tesoro dei libri", fosse cominciato già poco dopo la morte di Al-Afdal Shahanshah, ultimo autorevole esponente della cosiddetto "vizirato militare". I soldati turchi dell'Imam fatimide, in mancanza del loro soldo, andarono infatti ad asportare nel 1068 libri per rivenderli sul florido mercato dei bibliofili, strappando in vari casi il cuoio delle rilegature per rattoppare le suole dei loro stivali.[3]
Anche secondo Luciano Canfora[4] gli arabi avrebbero cagionato seri danni alla biblioteca.
Franco Cardini[5] concorda con Luciano Canfora e afferma che gli studiosi di oggi tendono ad eliminare le fonti che non godono di buona stampa nel mondo musulmano.
Secondo Cardini, le distruzioni della biblioteca accertate storicamente sarebbero due: nel III e nel VII secolo.
«il corso più probabile degli avvenimenti secondo la critica storica, filologica e archeologica recente è questo: (…)
- 48-47 a.C.: primi danni, collaterali a un incendio che vide Giulio Cesare come corresponsabile;
- III secolo: incendio della biblioteca. Successiva ricostruzione nel IV secolo. La biblioteca si arricchisce dei nuovi volumi della celebre scuola alessandrina. Il fondo tocca i 40.000 volumi.
- 642: distruzione definitiva da parte degli arabi[6]».
Sull'argomento ha scritto recentemente anche l'eminente storico inglese Bernard Lewis, che, in un libro collettaneo apparso nel 2008, What happened to the Ancient Library of Alexandria?, a cura del direttore della nuova Bibliotheca Alexandrina, Ismail Serageldin, ha intitolato il suo saggio «The Arab Destruction of the Library of Alexandria».
Elenco dei capo-bibliotecari della Biblioteca di Alessandria
- Zenodoto di Efeso (284 a.C. - 260 a.C.)
- Apollonio Rodio (260 a.C. - 246 a.C.)
- Eratostene di Cirene (245 a.C. - 195 a.C.)
- Aristofane di Bisanzio (195 a.C. - 180 a.C.)
- Apollonio Eidographos (? - ?)
- Aristarco di Samotracia (? - 146 a.C.)
Galleria immagini
Note
- ↑ Secondo un'usanza tipica della politica di propaganda della dinastia tolemaica è verosimile che l'importanza del ruolo del primo faraone tolemaico sia stata offuscata a favore del figlio Tolomeo II.
- ↑ al-Mawāʿiẓ wal-iʿtibār fī dhikr al-khiṭaṭ wal-athār ed. Ayman Fuʾād Sayyid, 6 voll., Londra, al-Furqān Islamic Heritage Foundation, 2002-2004.
- ↑ Claudio Lo Jacono, Storia del mondo islamico (VII-XVI secolo) - Il Vicino Oriente, Torino, Einaudi, 2003, p. 292.
- ↑ Luciano Canfora, La biblioteca scomparsa, 1986.
- ↑ Franco Cardini, Avvenire, 26 luglio 2009.
- ↑ Franco Cardini, op. cit..
Bibliografia
- Canfora, Luciano, La biblioteca scomparsa, Palermo 1986
- Cavallo, Gugliemo (a cura di), Le biblioteche nel mondo antico e medievale, Roma-Bari, 1988 ISBN 88-420-3256-5
Si segnala anche:
- Guedj, Denis, La chioma di Berenice, Longanesi, Milano, 2003 ISBN 88-502-0808-1, ISBN 978-88-502-0808-1, romanzo ambientato ad Alessandria d'Egitto, ai tempi di Eratostene di Cirene