Baalbek
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Baalbek in Libano è uno dei siti archeologici più importanti del Vicino Oriente, dichiarato nel 1984 Patrimonio dell'Umanità dall' UNESCO. Si trova, in linea d'aria, a circa 65 km ad est di Beirut.
E’ noto per comprendere nel basamento del tempio dei monoliti di grandezza e peso incredibili.
L’orientalista russo Zecharia Sitchin spiega questi ritrovamenti dicendo che il tempio romano è stato costruito su un sito preesistente che sarebbe stato costruito da alieni (Anunnaki provenienti dal pianeta Nibiru) nel 10.500 a.C. come base di lancio per astronavi (una specie di antica Cape Canaveral).
Oggi Baalbek (in arabo: بعلبك, traslitterato Baʿlabakk) è una cittadina nella valle della Beqāʿ (in arabo ﺍﻠﺒﻗﺎﻉ, Biqāʿ), capoluogo di un omonimo distretto libanese. Situata ad est delle sorgenti del fiume Lītānī, ad un'altitudine di 1170 metri sul livello del mare, Baalbek è famosa per le monumentali rovine di alcuni templi romani risalenti al II e III secolo dell'era comune, quando Baalbek, con il nome di Heliopolis ospitava un importante santuario dedicato a Giove Eliopolitano nella provincia romana di Siria.
Indice |
Storia
Origini
Le origini di Baalbek risalgono a due insediamenti cananei che gli scavi archeologici sotto il tempio di Giove hanno permesso di identificare come databili all'età del bronzo antica (2900-2300 a.C.) e media (1900-1600 a.C.).
L'etimologia del toponimo è legata al sostantivo báʿal o bēl che in varie lingue dell'area semitica nord-occidentale (come l'ebraico, il cananeo, e l'accadico) significa "signore". Il termine Baalbek significherebbe dunque "signore della Bekaa" e sarebbe probabilmente da correlarsi all'oracolo e al santuario dedicato al dio Baal o Bēl (spesso identificato come Hadad, dio del sole, della tempesta e della fertilità della terra) e ad Anat, dea della violenza e della guerra, sorella e consorte di Baal (più tardi identificata con Astarte), forse associati a Tammuz (più tardi identificato con Adone), dio della rigenerazione primaverile. Le pratiche religiose di questi templi contemplavano probabilmente, come in altre realtà culturali contigue, la prostituzione sacra, i sacrifici animali (e forse anche umani) e le offerte rituali di bevande alle divinità.
La città, pur situata in una posizione favorevole dal punto di vista strategico, in prossimità delle sorgenti dei fiumi Lītānī e Oronte, non ebbe comunque, almeno inizialmente, un importante valore commerciale e strategico, non venendo menzionata da fonti coeve egiziane o assire.
Anche l'identificazione con la biblica Baal-Gad (Libro di Giosuè 11,17 e 12,7 rammentata come il limite settentrionale delle conquiste di Giosuè, viene oggi contestata, sostenendo piuttosto che la località biblica si debba identificare con la cittadina di Ḥāṣbayyā, nel sud-est del Libano, oppure con Bāniyās (l'antica Cesarea di Filippo), sulle alture del Golan.
Dall’Antico Testamento sappiamo che Yahweh, il Signore della Bibbia, era acerrimo nemico di Baal e quando l’influenza di Baal crebbe tra gli Israeliti in seguito al matrimonio tra il loro re e una principessa cananea, il profeta Elia organizzò una battaglia tra Baal e Yahweh sul Monte Carmelo. Fu Yahweh ad avere la meglio e i 300 sacerdoti di Baal furono giustiziati. Baal, all’insaputa del “Cielo” – il governo del Dodicesimo Pianeta, il Pianeta degli dei – stava allestendo un centro di comunicazione clandestino, dal quale poter comunicare con tutte le parti della Terra, oltre che con la navicella spaziale in orbita attorno alla Terra. Era il primo passo verso il dominio su tutta la Terra. Tutto ciò si verificò attorno al 2900 a.C. L’Antico Testamento attribuiva a Yahweh il dominio sulla Cresta di Zaphon (Salmo 29). Ora sembra che la Cresta di Zaphon era il Luogo dell'Atterraggio, la montagna del Cedro dell’epopea di Gilgamesh, la dimora degli dèi, il crocevia di Ishtar, cioè Baalbek.
Fase ellenistica
Lo storico ebreo Giuseppe Flavio (I secolo) rammenta il passaggio di Alessandro Magno a Baalbek nella sua marcia verso Damasco. In epoca ellenistica, sotto il dominio dei Tolomei, sostituito definitivamente dal 198 a.C. con quello dei Seleucidi, la città fu ribattezzata con il nome di Heliopolis ("città del sole"). I sovrani tolemaici favorirono probabilmente l'identificazione del dio Baal con il dio del sole egizio Ra e il dio del sole greco Helios, allo scopo di cementare una maggiore fusione culturale all'interno dei propri territori.
Il cortile del tempio fu modificato e alla sua estremità occidentale venne iniziata la costruzione di un tempio di forme greche per il quale si costruì una gigantesca piattaforma (88 x 48 m). Per questa costruzione vennero l'archeologia ufficiale indica che furono realizzati e impiegati blocchi colossali: i tre che costituiscono il cosiddetto τρίλιθον (trilithon) pesano circa 750 tonnellate ciascuno, mentre un quarto blocco, di dimensioni ancora maggiori (21.5 m di lunghezza con una sezione quadrata di 4.3 m di lato), oggi conosciuto con il nome di ﺣﺠﺮ ﺍﻠﺤﺒﻠﻰ (ḥaǧar al-ḥublā o "pietra della gestante"), venne abbandonato nella cava. Gli ufologi (come Zecharia Sitchin) invece attribuiscono le pietre colossali di Heliopolis ad un periodo precedente a quello della fase ellenistica (vedi la Cronologia di Sitchin).
Fase romana
Dopo la conquista romana nel 64 a.C. ad opera di Pompeo, la città di Baalbek-Heliopolis fu compresa nei domini dei tetrarchi della Palestina (si confronti anche in Vangelo di Luca 3,1).
La divinità del santuario fu identificata con Giove, che conservò tuttavia alcuni dei caratteri dell'antica divinità indigena e assunse la forma e il nome di Giove Eliopolitano. Il dio veniva raffigurato con un copricapo svasato, con fulmini nelle mani e inquadrato da due tori, l'animale che accompagnava il dio Baal. Gli altri dei associati vennero identificati con Venere e con Bacco. La triade eliopolitana ebbe altari e culto anche in lontane regioni dell'impero (province balcaniche, Gallia, province ispaniche, Britannia). Il culto assunse un carattere mistico e forse misterico, che favorì probabilmente la sua diffusione.
Nel 15 a.C. il santuario entrò a far parte del territorio della Colonia Iulia Augusta Felix Beritus, l'odierna Beirut. L'edificazione del tempio fu nuovamente intrapresa sulla piattaforma ellenistica e si concluse in diverse tappe: il tempio vero e proprio (tempio di Giove) fu terminato nel 60 d.C., sotto Nerone, e contemporaneamente venne edificato l'altare a torre che precede il tempio. Sotto Traiano (98-117) si iniziò la sistemazione del grande cortile. Sotto Antonino Pio (138-161) venne eretto il tempio di Bacco. I lavori, inclusi quelli riguardanti il tempio di Venere, vennero completati durante la dinastia dei Severi, e in particolare sotto Caracalla (211-217). Sotto Filippo l'Arabo (244-249), imperatore romano nato nella vicina Damasco, fu infine costruito il cortile esagonale del santuario.
In quest'epoca Heliopolis, elevata da Settimio Severo (193-211) al rango di colonia di diritto italico con il nome di Colonia Iulia Augusta Felix Heliopolis, divenne il centro principale della provincia della Syria-Phoenicia, istituita nel 194 con capitale Tiro.
Fase paleo-cristiana e bizantina
Con l'avvento del cristianesimo e la promulgazione dell'Editto di Milano, il santuario iniziò una lenta decadenza, accelerata probabilmente dai crolli dovuti ai terremoti. Le prime trasformazioni si ebbero sotto Costantino I (306-337), che secondo Eusebio di Cesarea vi istituì una sede vescovile e decise la costruzione di una chiesa. L'imperatore Teodosio I (379-395) distrusse le statue pagane, fece radere al suolo l'altare-torre per erigere nel grande cortile una basilica cristiana e trasformò in chiese sia la corte esagonale che il tempio di Venere. Alcuni studiosi ritengono tuttavia che Baalbek continuò a costituire un centro di culto pagano.
L'imperatore bizantino Giustiniano (527-565) ordinò infine di asportare otto delle colonne del tempio di Giove affinché fossero riutilizzate nella basilica di Santa Sofia a Costantinopoli.
Fase arabo-islamica
In seguito alla conquista araba del 637 da parte di Abū ʿUbayda ibn al-Ğarrāḥ, l'acropoli del complesso templare venne trasformata in cittadella fortificata (ﻗﻠﻌﺔ, qalʿah) e venne costruita la grande moschea in stile omayyade, oggi in rovina. La città passò, dopo l'età omayyade e quella abbaside, sotto l'amministrazione fatimide che la scelse come capitale di governatorato (wilāya) nel 972, all'epoca dell'Imām al-Muʿizz li-dīn Allāh.
Occupata per breve tempo dai Bizantini di Giovanni Zimisce nel 974, Baalbek divenne nel 1025 dominio dei Mirdasidi, guidati dal principe di Aleppo Ṣāliḥ ibn Mirdās, e infine dei Selgiuchidi di Tutuš nel 1075. Fu poi la volta del dominio zengide, prima di essere conquistata da Ṣalāḥ al-Dīn ibn Ayyūb nel 1187. La cittadina rimase dominio ayyubide fino al 1282 quando venne conquistata dal sultano mamelucco Sayf al-Dīn Qalāwūn al-Alfī, detto al-Malik al-Manṣūr ("il sovrano reso vittorioso da Dio").
La città fu saccheggiata dalle truppe mongole guidate da Hülegü Khan nel 1260 e ancora dall'esercito di Tamerlano nel 1401.
Dopo il 1516, Baalbek entrò a far parte dell'impero ottomano, all'interno dell'eyalet (governatorato) di Damasco. Nei secoli successivi, come in altre aree della Bekaa, la popolazione, prevalentemente musulmana sciita e divisa in clan patrilineari chiamati ʿašā'īr, fu soggetta all'autorità de facto di due famiglie di proprietari terrieri, gli Ḥamādah e gli Harfūš, i cui privilegi feudali vennero erosi, a partire dalla fine del diciottesimo secolo, dai tentativi di modernizzazione amministrativa sperimentati dalle autorità ottomane.
Riscoperta del sito
Nel XVIII secolo gli esploratori europei iniziarono a visitare le rovine e a riportarne dettagliate descrizioni, piante e vedute a disegno. Nel 1751 Robert Wood descrisse le rovine come tra le più audaci opere di architettura dell'antichità. Erano ancora in piedi nove colonne del tempio di Giove, ma tre crollarono, probabilmente in occasione del terremoto del 1759. Altri viaggiatori furono Volney (1781), Cassas (1785), Laborde (1837), David Roberts (1839). I blocchi crollati dalle antiche costruzioni venivano all'epoca ancora riutilizzati per la costruzione di edifici moderni della cittadina.
Una prima spedizione scientifica fu condotta nel 1873 dal Fondo di Esplorazione della Palestina e in seguito alla visita dell'imperatore Guglielmo II di Germania vi venne condotta una missione archeologica tedesca (1898-1905), guidata da Otto Puchstein, durante la quale furono effettuati i primi restauri. Dopo la prima guerra mondiale altre missioni si ebbero durante il Mandato francese ad opera di C. Virolleaud, R. Dassaud, S. Ronzevalle, H. Seyrig, D. Schlumberger, F. Anus, P. Coupel e P. Collard. Dopo l'indipendenza del Libano nel 1943 le operazioni di restauro e conservazione passarono sotto l'egida del Servizio delle Antichità del Libano (H. Kalayan).
Nel 1984 il sito archeologico di Baalbek venne inserito nella lista dei Patrimoni dell'umanità dell'UNESCO.
Descrizione del santuario
Propilei
Furono costruiti agli inizi del III secolo, all'epoca di Caracalla in cima ad una scalinata monumentale e costituivano l'accesso all'area sacra del tempio di Giove. Erano in origine costituiti da una facciata di 12 colonne (10 delle quali rialzate nel corso dei restauri tedeschi), tra due torri più alte, sormontate da un frontone.
Nel muro retrostante si aprivano un ingresso centrale ad arco e due passaggi laterali, che più tardi vennero murati. Il muro era decorato da due piani di nicchie che in origine dovevano ospitare delle statue, inquadrate da edicole con frontoni alternativamente triangolari e arcuati, sostenuti da lesene corinzie al piano terra e ioniche al piano superiore.
Cortile esagonale
Dai propilei si accedeva ad una corte a pianta esagonale (metà del III secolo, sotto Filippo l'Arabo, 244-249), circondata da portici che si aprivano sul fondo con esedre rettangolari, un tempo riccamente decorate. Il cortile subì pesanti modifiche all'epoca in cui vi venne installata la cappella dedicata alla Vergine e successivamente per la trasformazione in bastione difensivo della cittadella araba.
Grande Cortile
Il cortile (135 x 113 m) (età traianea) ospitava il grande altare a torre di età neroniana e bacini laterali per le abluzioni. I portici laterali (128 colonne con fusti in granito di Assuan) sono sostenuti da criptoportici voltati e sul fondo si aprivano esedre a pianta alternativamente rettangolare e semicircolare, queste coperte da semicupole in pietra. Iscrizioni dipinte in alcune delle esedre testimoniano il loro uso per i pasti sacri di confraternite e comunità, che dovevano far parte del culto eliopolitano.
Nella corte venne costruita la basilica teodosiana, dedicata a san Pietro.
Tempio di Giove
Il tempio (prima metà del I secolo), che ospitava la statua di Giove Eliopolitano, dominava la Grande Corte, sopraelevato sopra una scalinata a tre rampe. Si trattava del più grande tempio romano conosciuto, in origine un periptero con 10 colonne sulla fronte ("decastilo") e 19 sui lati lunghi. Restano in piedi sei colonne colossali, con fusti di 2,20 m di diametro (pari a 75 piedi romani) ed alte circa 20 m con la base e il capitello, realizzate con tre rocchi di pietra. La trabeazione, che raggiunge i 5 m di altezza comprendeva un fregio decorato con protomi (teste) di tori e di leoni e con ghirlande.
Tempio di Bacco
Elevato su un podio di 5 m di altezza, misura 69 x 36 m e vi si accede da una scalinata con 33 gradini.Era preceduto da un cortile porticato con un monumentale accesso. Risale alla metà del II secolo (Antonino Pio, 138-161) e si tratta di un tempio periptero con 8 colonne sulla fronte ("ottastilo") e 15 sui lati lunghi, molto ben conservato (manca solo il tetto della cella e parte delle colonne laterali). Le colonne scanalate raggiungevano con basi e capitelli un'altezza di 19 m e anche in questo caso il fregio era decorato da protomi di tori e leoni. La peristasi (lo spazio tra le colonne e i muri della cella) era coperta da un soffitto cassettonato: i cassettoni poligonali e triangolari, erano decorati con busti di divinità (tra cui Marte, la Vittoria, Diana, Hygeia) e una ricca decorazione vegetale.
L'incorniciatura del portale d'ingresso della cella presenta fregi figurati e una decorazione di tralci di vite che riferiscono il tempio al dio Bacco, ma il soffitto del portale mostra un'aquila con un caduceo, attributo tipico del dio Mercurio. Il culto del dio locale, con caratteristiche simili a quelle del greco Adone, aveva comportato l'utilizzo del vino, dell'oppio e di altre droghe per il raggiungimento dell'estasi religiosa.
All'interno della cella le pareti laterali sono decorate da nicchie su due ordini: quelle inferiori sono sormontate da frontoni arcuati e quelle superiori da frontoni triangolari; le nicchie sono inquadrate da semicolonne corinzie. Sul fondo del tempio un adyton (sacrario) ospitava la statua del dio.
All'angolo sud-est del tempio venne in seguito edificata una torre che nel XV secolo, all'epoca dei Mamelucchi ospitava la residenza del governatore locale.
Tempio rotondo o tempio di Venere
Al di là di una strada, è orientato verso gli altri due templi. Era racchiuso in un recinto sacro che ospitava anche un altro piccolo tempio, oggi in rovina, conosciuto come "tempio delle Muse".
Il tempio, a cui si accede da una scalinata, era preceduto in origine un pronao rettangolare ottastilo (con otto colonne). La cella rotonda era decorata all'esterno da nicchie coperte da semicupole a conchiglia. Le colonne che circondano la cella presentano la trabeazione che non segue la linea del colonnato, ma si incurva verso l'interno fino a toccare il muro esterno della cella, creando un'insolita forma stellare e inquadrando in tal modo le nicchie.
La testimonianza di Eusebio di Cesarea, che attesta la continuità del culto agli inizi dell'epoca cristiana, ci informa della sua natura orgiastica e della presenza, probabilmente, della prostituzione sacra.
Il tempio era stato trasformato in chiesa di Santa Barbara, ma restò al di fuori della cittadella araba e l'intero complesso venne in seguito coperto da una fitta rete di abitazioni. I resti del tempio furono smontati e rimontati a poca distanza in uno spazio libero.
Le caratteristiche dell'architettura
Il marcato carattere locale del culto si riflette nelle grandi corti che precedono i templi (come nel tempio di Gerusalemme), nell'altare a torre del santuario di Giove e nella presenza del sacrario edificato a parte all'interno della cella (adyton); tuttavia ovunque le forme architettoniche sono quelle proprie dell'architettura romana.
Le università di archeologia di tutto il mondo potrebbero fare scavi approfonditi in questo sito per indagare su resti murali sottostanti e precedenti al tempio romano e per indagare il trilithon e la pietra della gestante. Inoltre già che ci sono potrebbero restaurare come si deve il tempio romano, dando una mano al turismo libanese.
Oggi
Negli anni successivi all'indipendenza libanese, la valle della Beqāʿ soffrì per la relativa marginalità economica e politica, anche se Baalbek poté contare sui proventi legati al crescente afflusso di visitatori locali e stranieri. Dopo l'avvio saltuario di spettacoli estivi all'aperto nel 1922, a partire dal 1955 iniziò ad essere organizzato in maniera sistematica il Festival di Baalbek, comprendente nel suo programma un misto di spettacoli teatrali, opera lirica, musical, concerti di musica classica e musica leggera e organizzato solitamente nella cornice del grande cortile. Direttori d'orchestra, interpreti e gruppi del calibro di Herbert von Karajan, Mstislav Rostropovitch, Fairouz, Umm Kulthum, Ella Fitzgerald, Joan Baez (e ultimamente Sting, Gilberto Gil e Massive Attack) hanno tenuto memorabili concerti in questa sede monumentale.
Il festival fu interrotto nel 1975, con lo scoppio della guerra civile libanese (1975-1990), quando la cittadina di Baalbek divenne una roccaforte della milizia sciita Hezbollah ( ﺣﺰﺏ ﺍﷲ, ossia "Partito di Dio"). La milizia, con la probabile approvazione del governo siriano, fu sostenuta dal governo iraniano tramite il Corpo delle guardie della rivoluzione islamica (che forniva addestramento militare e indottrinamento) e si distinse per la politica estremamente ostile nei confronti degli Stati Uniti e di Israele, che all'epoca occupava militarmente una parte del territorio libanese.
Dopo la fine della guerra civile libanese nel 1990 (in seguito agli accordi di Ṭā'if del 1989), la situazione si è lentamente ma progressivamente normalizzata e oggi la visita al sito archeologico e alla cittadina è possibile senza alcun tipo di pericolo. Nel 1997 sono riprese le serate del Festival di Baalbek, mentre nel 1998 è stata inaugurata la collezione permanente che costituisce il nucleo centrale del nuovo Museo archeologico.
La cittadina è stata oggetto di pesanti bombardamenti israeliani nel luglio 2006.
Le traduzioni di Zecharia Sitchin
Esite un riferimento nella letteratura sumerica al sito di Heliopolis. Ne “Il libro perduto del dio Enki” di Zecharia Sitchin ci sarebbe la traduzione testuale di alcune tavolette sumeriche. Nel secondo paragrafo della 4a tavoletta (pag. 109) si dice:
- « Questo è ora il racconto del ritorno di Anu (sovrano di Nibiru ai tempi della colonia terrestre, anche nome di Urano, n.d.r.) a Nibiru (pianeta natio degli Anunnaki, dodicesimo del nostro sistema solare); e di come Alalu (deposto re di Nibiru, scappò sulla Terra e vi scoprì l’oro) venne sepolto su Lahmu (Marte), di come Enlil sulla Terra costruì un Luogo dell’Atterraggio. Su Nibiru un caldo benvenuto fu tributato ad Anu. Al consiglio e ai principi Anu raccontò quanto era accaduto. Non cercò da loro né pietà, né vendetta. Per poter discutere i compiti che li attendevano, diede loro informazioni. Illustrò un grande progetto a tutti coloro che erano lì riuniti: creare delle stazioni di passaggio tra Nibiru e la Terra, così da racchiudere tutta la famiglia del Sole in un solo regno! La prima sarebbe stata costruita su Lahmu, anche la Luna doveva essere inclusa nei progetti. Costruire stazioni sugli altri pianeti o sulle loro schiere orbitanti. Una carovana costante di carri da rifornire e proteggere. Trasformare senza interruzioni l’oro dalla Terra a Nibiru, forse scoprire l’oro anche su altri pianeti! I principi, i consiglieri, i saggi presero in esame il progetto di Anu. Tutti loro videro nel progetto una promessa di salvezza per Nibiru. I saggi e i comandanti perfezionarono la conoscenza degli dèi celesti. Ai carri e alle navi celesti venne aggiunto un nuovo tipo di navicella spaziale. Eroi (astronauti) vennero selezionati per il compito; molto vi era da apprendere per assolvere a questo compito. I progetti vennero irradiati a Enki (dio sumerico della Saggezza, figlio primogenito di Anu e fratello di Enlil) e a Enlil (Capo della colonia terrestre degli Annunaki, figlio secondogenito di Anu ma erede perché legittimo), venne detto loro di accelerare i preparativi sulla Terra. Sulla Terra vi furono molte discussioni su ciò che era successo e su ciò che doveva ancora essere fatto. Enki nominò Alalgar (pilota di navicella spaziale) Supervisore di Eridu (primo insediamento sulla terra fondato da Enki, nell’attuale Irak), poi diresse i propri passi verso l’Abzu (dominio di Enki per l’estrazione dell’oro, situato in Africa sudorientale, nell’attuale Zimbabwe). Stabilì dove estrarre l’oro dalle viscere della Terra. Calcolò quanti eroi fossero necessari per il compito, riflettè sulla scelta degli strumenti necessari: con ingegno Enki progettò uno Spaccaterra, domandò che fosse costruito su Nibiru. Per poi usarlo per incidere la Terra, per raggiungere le sue viscere con dei tunnel. Progettò anche Ciò Che Frantuma e Ciò Che Schiaccia, perché fossero costruiti su Nibiru per l’Abzu. Chiese ai saggi di Nibiru di ponderare anche altre questioni. Elencò le esigenze degli eroi nel campo della salute e del benessere. I circuiti veloci della Terra disturbavano gli eroi. I cicli veloci di giorno e notte causavano loro le vertigini. L’atmosfera, pur se buona, era carente di alcune cose, in altre, invece, abbondava. Gli eroi si lamentavano della scarsa varietà di cibo. Enlil, il comandante, soffriva a causa del calore del Sole sulla Terra, bramava refrigerio e ombra. Mentre Enki faceva preparativi nell’Abzu, a bordo della nave celeste Enlil esplorava le dimensioni dell’Eden. Prese nota delle montagne e dei fiumi, misurò vallate e pianure. Cercava un posto idoneo al Luogo dell’Atterraggio, un luogo per le navicelle spaziali. Enlil, afflitto dal calore del Sole, cercava un luogo di refrigerio e ombra. Fu attirato dalle montagne coperte di neve sul versante nord dell’Eden. Gli alberi, più alti di quanto avesse mai visto prima, crescevano in una foresta di cedri. Lì, su una valle montuosa, irradiò i raggi per appiattirne la superficie. Dal fianco della montagna gli eroi cavarono grandi pietre e le tagliarono. Le portarono e le sistemarono per sostenere la piattaforma per le navi spaziali. Compiaciuto Enlil ammirò l’opera. Era stato compiuto invero un lavoro immane, una struttura eterna era stata creata! »
Quindi se diamo credito alla traduzione di Sitchin di queste tavolette sumere (traduzione che altri assirologi potranno benissimo confermare o confutare), dobbiamo dedurre che il Libano orientale era stata la sede scelta da Enlil per creare la sua dimora e lo spazioporto Terra-Nibiru: detto tra i sumeri il Luogo dell'Atterraggio. Oltre all’evidenza della pietra della gestante e ai Trilithon a Baalbeck, bisogna far notare che i cedri di cui si parla nel testo sumerico (il luogo viene chiamato nei testi sumeri Foresta del Cedro) sono tipici del Libano, tant’è che ancor’oggi i cedri del Libano sono famosi e i Libanesi ne vanno tanto fieri che gli hanno inseriti nella loro bandiera nazionale!
Galleria immagini
Video
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Bibliografia
- Alouf, Michel, History of Baalbek, San Diego, Book Tree, 1998. ISBN 1585090638
- Carter, Terry, e Dunston Lara, Libano, Torino, EDT, 2004. ISBN 8870637484
- Dussad, René, Topographie historique de la Syrie, Paris, Paul Geuthner, 1927.
- Fabbri, Patrizia, Baalbek. La città del sole, Firenze, Bonechi, 2000. ISBN 8847606314
- Salibi, Kamal, The Modern History of Lebanon, Delmar, Caravan Books, 1977. ISBN 0882060155
- Van Ess, Margarete, e Weber, Thomas, Baalbek. Im Bann römischer Monumentalarchitektur, Mainz, Philipp von Zabern, 1999.
Voci correlate
Collegamenti esterni
- Baalbek su Google Maps
- Destination Lebanon: Baalbek (include una galleria fotografica e una mappa interattiva)
- Festival di Baalbek
- Museo Archeologico di Baalbek (dal sito del Deutsches Archäologisches Institut)
- Baalbek - Lebanon's Sacred Fortress (ipotesi sulle possibili origini preistoriche di alcune strutture del complesso monumentale)