Arca di Noè
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L'arca di Noè, secondo la Bibbia, è una grande imbarcazione costruita per ordine di Dio per salvare Noè, la sua famiglia e tutte le specie animali da un imminente Diluvio universale.
Interpretazioni e fonti del racconto biblico
Secondo una delle scuole moderne di critica testuale - quella dell'ipotesi documentale - questa parte della Genesi si fonda su due fonti antiche pressoché indipendenti l'una dall'altra, e raggiunse la sua forma definitiva solo verso il V secolo a.C.. Molti ebrei ortodossi, così come molti cristiani o musulmani letteralisti, respingono tuttavia quest'ipotesi, e considerano la storia dell'arca come letteralmente vera, affermando che essa si deve a un unico autore. Il Diluvio dovrebbe essere avvenuto 1656 anni dopo la creazione, data ricavata da calcoli sulle generazioni e gli anni di Genesi Template:Passo biblico.
Il racconto biblico dell'Arca di Noè presenta delle somiglianze con il mito sumero dell'epopea di Gilgamesh, che narra di un antico re di nome Utnapishtim che fu invitato dal suo dio personale a costruire un battello, nel quale avrebbe potuto salvarsi dal diluvio inviato dal consesso degli dei. Altre versioni di un mito analogo si incontrano in molte culture nel mondo. Nelle "religioni del libro" - i monoteismi mediterranei - la storia dell'Arca ha dato luogo ad una quantità di interpretazioni in cui si mischiano ragioni teoriche, problemi pratici e considerazioni allegoriche: in questo contesto i commentatori potevano porsi questioni che andavano da "come funzionava il camino dell'Arca?" a ragionamenti sull'arca come prima incarnazione di una Chiesa salvatrice dell'umanità. Tuttavia l'Arca non possedeva nessun camino.
A partire dal XVIII secolo, lo sviluppo della biogeografia come scienza naturale ridusse progressivamente il numero delle persone pronte a sostenere un'interpretazione letterale della storia di Noè. I letteralisti biblici, tuttavia, continuano a percorrere la regione del monte Ararat corrispondente all'antica Armenia, nel nord-est della Turchia, dove la Bibbia dice che l'Arca si sarebbe arenata alla fine del suo viaggio.
Il racconto
Il testo del capitolo 6 comincia col descrivere la scontentezza dell'Eterno circa la propria creazione, la sua furia, e la sua scelta di Noè:
- « Il Signore disse: "Sterminerò dalla terra l'uomo che ho creato: con l'uomo anche il bestiame e i rettili e gli uccelli del cielo, perché sono pentito d'averli fatti". Ma Noè trovò grazia agli occhi del Signore [perché] era uomo giusto e integro tra i suoi contemporanei e camminava con Dio. »
Fatta la scelta, Noè riceve istruzioni precise sul lavoro da fare e su come farlo:
- « Allora Dio disse a Noè: "È venuta per me la fine di ogni uomo, perché la terra, per causa loro, è piena di violenza; ecco, io li distruggerò insieme con la terra. Fatti un'arca di legno di cipresso; dividerai l'arca in scompartimenti e la spalmerai di bitume dentro e fuori. Ecco come devi farla: l'arca avrà trecento cubiti di lunghezza, cinquanta di larghezza e trenta di altezza. Farai nell'arca un tetto e a un cubito più sopra la terminerai; da un lato metterai la porta dell'arca. La farai a piani: inferiore, medio e superiore. Ecco io manderò il diluvio, cioè le acque, sulla terra, per distruggere sotto il cielo ogni carne, in cui è alito di vita; quanto è sulla terra perirà. Ma con te io stabilisco la mia alleanza. Entrerai nell'arca tu e con te i tuoi figli, tua moglie e le mogli dei tuoi figli. Di quanto vive, di ogni carne, introdurrai nell'arca due di ogni specie, per conservarli in vita con te: siano maschio e femmina. Degli uccelli secondo la loro specie, del bestiame secondo la propria specie e di tutti i rettili della terra secondo la loro specie, due d'ognuna verranno con te, per essere conservati in vita. Quanto a te, prenditi ogni sorta di cibo da mangiare e raccoglilo presso di te: sarà di nutrimento per te e per loro". Noè eseguì tutto; come Dio gli aveva comandato, così egli fece. »
Queste misure corrispondono ad una grande chiatta senza Albero vela alberoù, lunga circa 137 metri, larga circa 26 ed alta circa 13.
Completato il lavoro, radunate e imbarcate le coppie di animali, Noè con i suoi tre figli - Sem, Cam e Jafet - e le rispettive mogli salgono sull'arca, e al capitolo 7 l'Eterno apre le cateratte: Template:Quote
L'arca galleggiava e le acque salivano, finché "superarono in altezza di quindici cubiti i monti che avevano ricoperto", e "restarono alte sopra la terra centocinquanta giorni".
Nel capitolo 8 "Dio si ricordò di Noè" e chiuse le cateratte. Ma si dovette arrivare al decimo mese, perché apparissero le cime dei monti. Dopo altri 40 giorni Noè aprì la finestra dell'arca e diede il via ad un corvo, e poi ad una colomba, che continuò ad andare e tornare perché non trovava un luogo asciutto su cui posarsi. Finché non tornò con un ramoscello d'olivo nel becco, e dopo una settimana non tornò più. Noè ne dedusse che avesse trovato da sistemarsi, e in effetti Template:Quote
Dio autorizzò Noè ed i suoi a uscire e a liberare gli animali, ne ebbe in cambio grandi olocausti e fece il suo nuovo patto con gli uomini: Template:Quote
l'Eterno, ribadito il nuovo patto con l'umanità e i viventi sulla terra, utilizza l'arcobaleno come segno della Sua promessa: Dio disse: Questo è il segno dell'alleanza, che io pongo tra me e voi e tra ogni essere vivente che è con voi per le generazioni eterne. 13 Il mio arco pongo sulle nubi ed esso sarà il segno dell'alleanza tra me e la terra. 14 Quando radunerò le nubi sulla terra e apparirà l'arco sulle nubi, 15 ricorderò la mia alleanza che è tra me e voi e tra ogni essere che vive in ogni carne e non ci saranno più le acque per il diluvio, per distruggere ogni carne. 16 L'arco sarà sulle nubi e io lo guarderò per ricordare l'alleanza eterna tra Dio e ogni essere che vive in ogni carne che è sulla terra.
L'arca e il letteralismo biblico
Molti ebrei ortodossi e cristiani letteralisti credono che la Bibbia, in quanto parola di Dio, non possa contenere alcun errore, neppure nell'espressione letterale. Al bisogno, essa va interpretata secondo il metodo storico-grammaticale, che consiste nello spostamento del testo nel suo contesto, quando il senso di un passaggio crea problemi. I letteralisti tendono così a restare fedeli alle ipotesi antiche attorno alla creazione della Bibbia.
In forza di questa ermeneutica essi accettano quindi, in generale, la tradizione ebraica secondo la quale il racconto dell'arca, nella Genesi, sarebbe stato scritto da Mosè stesso. È però difficile, per questi interpreti, accordarsi sull'epoca precisa in cui quest'ultimo sarebbe vissuto - e di conseguenza sulla data di composizione del testo: sono state avanzate diverse ipotesi che vanno dal XVI alla fine del XIII secolo a.C.
Per quanto riguarda la data del Diluvio, i letteralisti si fondano su un'interpretazione delle Genealogie che compare ai capitoli 5 e 11 della Genesi. L'arcivescovo James Ussher, utilizzando questo metodo nel XVII secolo, arrivò all'anno 2349 a.C., e questa data continuò ad essere considerata fonte autorevole per molto tempo.
Un ricercatore fondamentalista più recente, Gerhard F. Hasel, riassumendo gli elementi del dibattito alla luce di molti manoscritti biblici (il testo masoretico o ebraico, varie versioni dei Septuaginta e così via) e delle loro differenti interpretazioni, arrivò alla conclusione che questo metodo poteva situare il Diluvio soltanto in una data compresa tra il 3402 a.C. e il 2462 a.C.. Altre tesi, fondate su fonti diverse o altre metodologie, possono localizzare la data anche al di fuori di questo pur vasto periodo: il libro deuterocanonico dei Giubilei, ad esempio, fornisce una data equivalente all'anno 2308 a.C.. Da tenere a mente però che quest'ultimo libro non è parte della Bibbia.
I letteralisti attribuiscono le apparenti contraddizioni del racconto dell'Arca alle convenzioni stilistiche vigenti nei testi antichi. La confusione relativa al numero delle coppie di animali puri che Noè doveva portare con sé (una o sette) deriverebbe così dal fatto che l'autore del libro, Mosè, avrebbe all'inizio introdotto l'argomento in termini generali, indicando le sette coppie, per ripetere solo successivamente, e a varie riprese, che questi animali entrarono nell'arca a coppie - di qui l'equivoco. Ugualmente, i letteralisti non trovano niente di strano nel passaggio relativo al corvo (perché Noè non lo avrebbe lasciato andare?), e contestano l'idea di due vicende differenti, tra il corvo e la colomba. Tuttavia non bisogna farsi ingannare da domande come queste, poiché la risposta resta semplicemente esplicita nel testo biblico.
Al di là di queste questioni relative alla data, all'autore e all'integrità del testo, il letteralismo ha dedicato molta attenzione a dettagli tecnici quali l'esatta natura del "legno resinoso" [Genesi, 6, 14] o la struttura dell'imbarcazione. I prossimi paragrafi toccano i principali soggetti di questo dibattito.
La questione del legno resinoso
La Genesi, al capitolo 6, 14 afferma chel'Arca è stata realizzata in "legno resinoso" o "legno di גפר" in ebraico (letteralmente gofer o gopher). La Jewish Encyclopedia ipotizza che questa espressione sia probabilmente una traduzione del babilonese gushure iş erini (= "travi di cedro") o dell'assiro giparu (= "canna").
La Vulgata latina, nel V secolo, l'ha trascritto come lignis levigatis (= "legno levigato"). La versione dei Settanta greca non menziona alcuna qualità di legno in particolare ma evoca la costruzione di una grande imbarcazione quadrata con il guscio incatramato dentro e fuori. Antiche traduzioni inglesi, tra cui la Bibbia di Re Giacomo del XVII secolo, scelgono semplicemente di non tradurre l'espressione. Molte traduzioni moderne scelgono il cipresso sulla base di un falso ragionamento etimologico indotto da accostamenti fonetici, benché la parola ebraica usata nella Bibbia per indicare il cipresso sia "erez". Altre versioni contemporanee propongono il pino o riprendono l'idea del cedro. Suggestioni più recenti, fra altre, hanno avanzato l'ipotesi che il testo abbia perduto il proprio senso, lungo i secoli, per alterazione, o che esso faccia riferimento ad un tipo di legno oggi scomparso, o che si tratti semplicemente di una cattiva trascrizione della parola kopher (= "resina"). Al momento, nessuna di queste ipotesi riscuote l'unanimità dei consensi.
Le dimensioni
L'arca, secondo le istruzioni di Dio, doveva misurare 300 cubiti di lunghezza. Nell'antichità sono stati usati cubiti di misure diverse ma molto simili, e la maggior parte degli studi letteralisti concordano nell'attribuire all'imbarcazione una lunghezza approssimativa di 137 metri, lunghezza in ogni caso superiore a quella di qualsiasi natante in legno che sia mai stato storicamente costruito fino alla fine del 1800.
Secondo alcune fonti l'ammiraglio cinese Zheng He, all'inizio del XV secolo, avrebbe utilizzato giunche lunghe fino a 122 metri, ma questa cifra potrebbe essere frutto di esagerazione. La goletta Wyoming, varata nel 1909, era lunga "soltanto" 107 metri e rappresenta il più grande scafo in legno mai costruito di cui si può attestare con certezza l'esistenza. Questa nave, d'altra parte, aveva bisogno di rinforzi di ferro per impedire le deformazioni, e di una pompa a vapore per contrastare seri problemi di falle.
I ricercatori letteralisti che accettano queste obiezioni[1] - e non sono tutti - ritengono che Noè abbia costruito l'arca ricorrendo a tecnologie comparse dopo il XIX secolo[2].
Capacità e logistica
L'arca doveva avere un volume totale di circa 40.000 m³ e un dislocamento pari a poco meno della metà del Titanic, cioè di circa 22.000 tonnellate. Il suo spazio abitabile totale doveva aggirarsi sui 9.300 m²[3].
se l'imbarcazione, con queste caratteristiche, potesse contenere due o più esemplari di ogni specie animale, e in più scorte alimentari e d'acqua dolce, è oggetto di dibattiti vivaci e perfino tumultuosi tra i letteralisti e i loro avversari.
Mentre i letteralisti continuano a sostenere che l'arca potrebbe aver contenuto tutte le specie conosciute, una posizione che oggi riscuote maggiore consenso asserisce che l'imbarcazione abbia contenuto i generi, piuttosto che le specie, degli animali: ad esempio, un solo maschio e una sola femmina del genere felino, piuttosto che esemplari di tigri, |leoni, coguari eccetera. Si pensi però che intorno agli anni '50, si provò a mettere un solo genere di animale per specie nei vagoni di un treno, la cui capacità totale corrispondeva a quella dell'Arca: ne risultò che rimasero decine di vagoni vuoti.Template:Citazione necessaria
Ci si è anche molto interrogati se 8 esseri umani potessero bastare ad assicurare insieme la navigazione e la cura degli animali, o come potessero essere soddisfatti i bisogni alimentari di certe specie particolarmente esotiche. Altre domande hanno posto il problema dell'illuminazione, della ventilazione, del controllo della temperatura, dell'ibernazione di certi animali, della sopravvivenza e della germinazione delle granaglie, della separazione tra pesci d'acqua dolce e pesci di mare...
Anche lo svolgimento dell'avventura è ricco di interrogativi: cosa potevano mangiare gli animali, subito dopo essere usciti dall'arca? Come hanno fatto a migrare fino al loro habitat attuale? Tuttavia il fatto che gli esseri umani erano solo 8 viene confermato dai caratteri cinesi, come il fatto che non era necessario portare pesci nell'Arca. Inoltre ai tempi non c'erano problemi di ibernazione in un'Arca piena di esseri viventi, e una volta usciti, gli animali avrebbero trovato il cibo necessario, dato che come è scritto in Genesi, poiché le acque avevano già cominciato a ritirarsi prima che noé scendesse dall'Arca, quindi la vegetazione era cresciuta. Infine, riguardo all'habitat, si pensi alle migrazioni che gli animali fanno tutt'oggi, attraversando talvolta il globo.
I siti letteralisti su Internet, pur concordando nell'affermare che nessuno di questi problemi è insuperabile, propongono risposte assai varie per risolverli[4].
Altri racconti analoghi
Leggende mesopotamiche
La più antica versione dell'epopea di Atrahasis è stata datata all'epoca del regno del pronipote di Hammurabi, Ammisaduqa (tra il 1646 a.C. e il 1626 a.C.), ed ha continuato ad essere riproposta fino al primo millennio avanti Cristo.
La leggenda di Ziusudra, a giudicare dalla scrittura, potrebbe risalire alla fine del XVI secolo a.C., mentre la storia di Utnapishtim, che ci è nota grazie a manoscritti del primo millennio avanti Cristo, è probabilmente una variazione dell'epopea di Athrasis[5].
Le varie leggende mesopotamiche sul Diluvio hanno conosciuto una notevole longevità, tanto che alcune di esse sono state trasmesse fino al III secolo a.C..
Gli archeologi hanno trovato un considerevole numero di testi originali in Lingua sumera, accadica e assira, redatte in caratteri cuneiformi. La ricerca di nuove tavolette prosegue, come la traduzione di quelle già scoperte.
Secondo un'ipotesi scientifica, l'evidente parentela tra la tradizione mesopotamica e quella biblica potrebbe avere come radice comune la rapida salita delle acque nel bacino del Mar Nero, oltre 7 millenni fa, a causa della rottura della diga naturale costituita dallo stretto del Bosforo.
- L'epopea di Athrasis, scritta in accadico (la lingua dell'antica Babilonia), racconta come il dio Enki ingiunge all'eroe Shuruppak di smantellare la propria casa, fatta di canne, e di costruire un battello per sfuggire al diluvio che il dio Enlil, infastidito dal rumore delle città, intende mandare per sradicare l'umanità.
Il battello deve disporre di un tetto "simile a quello di Apsû[6]" (l'oceano sotterraneo di acqua dolce di cui Enki è signore), di un ponte inferiore e di uno superiore, e deve essere impermeabilizzato con bitume.
Athrasis sale a bordo con la sua famiglia e i suoi animali, e ne sigilla l'entrata.
La tempesta e il diluvio cominciano, "i cadaveri riempiono il fiume come libellule", e anche gli dei si spaventano.
Dopo 7 giorni il diluvio cessa, e Athrasis offre dei sacrifici. Enlil è furioso, ma Enki lo sfida apertamente, dichiarando di essersi impegnato alla preservazione della vita. Le due divinità si accordano infine su misure diverse, per regolare la popolazione umana.
Della storia esiste anche un'altra versione assira più tarda. - La leggenda di Ziusudra, scritta in sumero, è stata ritrovata nei frammenti di una tavoletta di Eridu. Essa narra di come lo stesso dio Enki avvertì Ziusudra, (« egli ha visto la vita », in riferimento al dono di immortalità che gli fu concesso dagli dei), re di Shuruppak, della decisione degli dei di distrurre l'umanità ad opera di un diluvio, il passaggio con la spiegazione di questa decisione è andato perduto. Enki incarica allora Ziusudra di costruire una grande nave, ma le istruzioni precise sono andate anch'esse perdute. Dopo un diluvio di sette giorni, Ziusudra procede ai sacrifici richiesti e si prostra poi di fronte ad An, il dio del cielo, ed Enlil, il capo degli dei. Riceve in cambio la vita eterna a Dilmun, l'Eden sumero[7].
L'epopea babilonese di Gilgamesh racconta le avvenure di Uta-Napishtim (in relatà una traduzione di «Ziusudra» in accadico), originario di Shuruppak. Ellil (equivalente di Enlil), signore degli dei, vuole distruggere l'umanità con un diluvio. Il dio Ea (equivalente di Enki) consiglia ad Uta-Napishtim di distruggere la sua casa di canne e di utilizzarne il materiale per costruire un'arca, che deve caricare con oro, argento, e la semenza di tutte le creature viventi e anche di tutti i suoi artigiani. Dopo una tempesta durata sette giorni ed altri dodici giorni passati alla deriva sulle acque, l'imbarcazione di arena sul monte Nizir. Dopo altri sette giorni Uta-Napishtim manda fuori una colomba, che ritorna, poi una rondine, che torna indietro anch'essa. Il corvo, alla fine, non ritorna. Allora Uta-Napishtim fa sacrifici agli dei a gruppi di 7. Quelli sentono il profumo delle carni arrostite e affluiscono "come le mosche[8]". Ellil è infuriato che gli umani siano sopravvissuti, ma Ea lo rimprovera: "Come hai potuto mandare un diluvio in questo modo, senza riflettere? Lascia che il peccato riposi sul peccatore, e il misfatto sul malfattore. Fermati, non lasciare che accada ed abbi pietà [che gli uomini non periscano]". Uta-Napishtim e sua moglie ricevono allora il dono dell'immortalità, e se ne vanno ad abitare "lontano, alla foce dei fiumi".
Nel III secolo a.C. Berose, gran sacerdote del tempio di Marduk a Babilonia, redasse in greco una storia della Mesopotamia (Babyloniaka) per Antioco I, che regnò dal 323 a.C. al 261 a.C.. L'opera è andata perduta, ma lo storico cristiano Eusebio di Cesarea, all'inizio del IV secolo, ne trasse la leggenda di Xisuthrus, una versione greca di Ziusudra ampiamente simile al testo originale. Eusebio riteneva che l'imbarcazione fosse ancora visibile "sui monti corcirii [sic] d'Armenia; e la gente gratta il bitume con il quale essa era stata rivestita all'esterno per utilizzarlo come antidoto o amuleto[9] ».".
Altre leggende
Storie che raccontano diluvi e la sopravvivenza di un pugno di eletti sono molto diffuse in tutte le mitologie del mondo, con esempi quasi in ogni società.
- L'omologo di Noè nella mitologia greca, ad esempio, è Deucalione.
- In certi testi sanscriti si ritiene che un terribile diluvio abbia lasciato un unico sopravvissuto, un santo di nome Manu, salvato da Visnu sotto forma di pesce.
- La storia di Yima (Jamshid), nella tradizione zoroastriana propone un racconto molto simile, salvo che l'elemento che minaccia i viventi non è l'acqua, ma il ghiaccio.
- Nella mitologia cinese si dice che Nuwa creò l'uomo dall'argilla, e che dovette tappare con pietre colorate i buchi che si erano creati nel cielo in seguito ad una grande diluvio provocato da Gonggong, il dio dell'acqua.
- Leggende che narrano diluvi sono emerse anche nelle mitologie di molte popolazioni senza scrittura, a volte molto lontano dalla Mesopotamia e dall'Eurasia, come presso la tribù amerindia degli Ojibwes.[10]
I letteralisti biblici traggono da questa diffusione la conclusione che l'Arca di Noè ha costituito un episodio storico reale. Ma gli etnologi e i mitologi consigliano di prendere con le molle leggende come quelle degli Ojibwes, che possono essere nate o essere state fortemente adattate in seguito al contatto con il cristianesimo, nel desiderio di armonizzare antiche e nuove credenze. Inoltre, tutte queste leggende si fondano sul comune bisogno umano di spiegare le catastrofi naturali, a fonte delle quali le società antiche erano completamente impotenti. Resta però il fatto, che, secondo studi scientifici [manca la citazione]fatti nel ghiaccio del Polo Nord, il Diluvio biblico sia avvenuto, poiché osservando la storia attraverso il ghiaccio, si arriva fino al Diluvio, dove iniziò il ghiaccio.
L'Arca di Noè e le religioni del Libro
La tradizione rabbinica
La storia di Noé e dell'arca fu oggetto di numerosi arricchimenti nella tarda letteratura rabbinica ebrea. In primo luogo, il fatto che Noé non abbia giudicato utile avvertire i suoi contemporanei del pericolo che correvano è stato in gran parte interpretato come un limite alla sua supposta rettitudine - forse quest'uomo sembrava giusto soltanto per contrasto con una generazione particolarmente corrotta? (Si afferma tuttavia in 2Pietro 2:5 che Noè fu predicatore di giustizia, avvertendo gli altri). Secondo un'altra tradizione avrebbe effettivamente diffuso tra gli uomini l'avvertimento divino, ed avrebbe piantato dei cedri quasi centoventi anni prima dell'inondazione perché i pescatori avessero il tempo di prendere coscienza dei loro difetti e di cambiare. Per proteggere Noé e la sua famiglia dai malvagi che rallentavano il lavoro e li malmenavano, Dio avrebbe anche posto leoni ed altri animali selvaggi all'entrata dell'arca. Secondo un midrash, è Dio o gli angeli che devono avere riunito gli animali attorno all'arca, con il cibo necessario. Dato che ancora non si era fatta sentire la necessità di distinguere gli animali impuri dagli animali puri, questi ultimi si fecero riconoscere inginocchiandosi dinanzi a Noé quando entravano nell'arca. Un'altra fonte afferma che è l'arca stessa che ha distinto il puro dall'impuro, ammettendo nel suo interno sette coppie dei primi e soltanto due dei secondi.
Noé, durante il Diluvio, si sacrificò giorno e notte per l'alimentazione e le cure degli animali, e non dormì una sola volta in tutto l'anno che passò nell'arca. Gli animali erano i migliori esemplari delle loro specie, e si comportarono ammirevolmente. Si astennero da qualsiasi procreazione, in modo che il numero di creature ad uscire dall'arca fosse esattamente lo stesso che all'entrata. Noé fu tuttavia ferito dal leone, rendendolo inabile a compiere i suoi obblighi cultuali: il sacrificio realizzato dopo il viaggio fu dunque compiuto dal figlio Sem. Il corvo, da parte sua, pose alcuni problemi quando rifiutò di lasciare l'arca, poiché sospettava che Noé avesse cattive intenzioni verso la sua femmina. Tuttavia, come sottolineano i commentatori, Dio desiderava salvare il corvo, poiché i suoi discendenti erano destinati a nutrire il profeta Elia.
I rifiuti e le acque di scarico erano confinati nel più basso dei tre ponti dell'arca. Gli umani e gli animali puri occupavano il secondo, mentre gli animali impuri e gli uccelli erano stipati nel livello più elevato. Una tradizione diversa situa i rifiuti al ponte superiore, da cui erano gettati in mare grazie ad una botola appositamente sistemata. Pietre preziose, brillanti come in pieno giorno, fornivano la luce all'interno, e Dio si assicurò che le derrate alimentari restassero sane. Il gigante Og, re di Bashân, faceva necessariamente parte dei fortunati passeggeri, poiché i suoi discendenti sono citati nei libri successivi della Torah: a causa della sua dimensione fisica, fu obbligato a restare all'esterno, cosa che richiese di fornirgli il cibo attraverso un foro praticato nella parete dell'arca[11].
La tradizione cristiana
Gli scrittori all'inizio dell'era cristiana si cimentarono in interpretazioni molto elaborate riguardo la storia dell'arca. Agostino d'Ippona (354-430) nella Città di Dio dimostra che le proporzioni dell'arca corrispondono a quelle del corpo umano, immagine a sua volta del corpo di Cristo e quindi della Chiesa[12]. L'identificazione dell'arca con la chiesa si può ritrovare anche nel rito anglicano del battesimo, il quale consiste nel domandare a Dio "che nella sua grande pietà ha salvato Noè", di ricevere nel seno della Chiesa il battezzando. San Girolamo (347-420) si interessò alla figura del corvo che partì dall'arca e non fece ritorno, definendolo "l'infetto uccello della corruzione[13]" che occorre allontanare da sé grazie al rito del battesimo. La colomba e il ramo d'olivo simboleggiarono lo Spirito Santo, poi la speranza di salvezza, e, in tempi più moderni, la pace.
Su di un piano più pratico, Origene (182-251), replicando ad un avversario che dubitava che l'arca avesse potuto contenere tutti gli animali del mondo, sviluppò un argomento erudito riguardo alla misura dei cubiti. Il teologo spiegò che Mosè, allora ritenuto tradizionalmente l'autore del libro della Genesi, era stato allevato nell'antico Egitto, dove il cubito aveva una misura più lunga di quella ebraica. Ai quei tempi l'arca era descritta come una piramide tronca, a base rettangolare, che si restringeva verso la cima fino ad una sommità quadrata di un cubito di lato[14]. Soltanto verso il XII secolo l'arca viene raffigurata come una scatola rettangolare dotata di un tetto inclinato.
La tradizione islamica
Noé (Nuh) è uno dei cinque principali profeti dell'islam , e la sua storia serve generalmente ad illustrare la sorte di coloro che rifiutano di ascoltare la parola divina. I riferimenti al profeta sono diffusi attraverso il corano, ma sono particolarmente frequenti nella sura 11, intitolata Houd, dal versetto 27 al 51. Diversamente dalla tradizione giudaica, che utilizza per descrivere l'arca termini vaghi che possono tradursi come "scatola" o "cassa", la sura 29, versetto 15, parla di safina , cioè di una barca comune, e la sura 54, versetto 13, evoca da parte sua "un oggetto di tavole e di chiodi". L'arca si sarebbe fermata sul "monte Joudi[15]” identificato dalla tradizione in una collina situata sulla riva est del Tigri, vicino alla città di Mossoul nel nord dell'Iraq. Al Masudi (morto nel 956) precisa anche che il posto dove la barca si era fermata poteva ancora essere veduto in quel tempo. L'autore aggiunge che l'arca iniziò il suo viaggio nella città di Koufa, al centro del Iraq, e navigò fino alla Mecca, dove fece il giro della Kaaba, prima di ritornare finalmente sul monte Joudi. Il corano mette d'altra parte queste parole nella bocca di Noé, che si rivolge ai suoi contemporanei (Sura 11, versetto 41): "Entrate dentro. Il viaggio e l'ormeggio siano in nome di Allah ". Al Baidawi, che scrive nel XIII secolo, ne deduce che Noé proclamò il nome di Allah per mettere l'arca in movimento, e che fece la stessa cosa per fermarla. Il diluvio fu inviato da Allah in risposta alle preghiere di Noé, secondo il quale la sua generazione ormai corrotta doveva essere distrutta. Ma poiché Noé era un uomo giusto, continuava nel frattempo a predicare, e tanto fece che settanta idolatri si convertirono e lo raggiunsero sull'arca, che portò così il numero totale di passeggeri umani a settantotto (poiché la famiglia di Noé contava otto membri). Questi settanta convertiti non ebbero comunque bambini, e la totalità degli esseri umani nati dopo l'inondazione discende dai tre figli di Noé. Quest'ultimo aveva tuttavia un quarto figlio (o nipote secondo alcune versioni), Canaan, che rifiutò di convertirsi e morì annegato. Al-Baidawi ritiene che le dimensioni dell'arca fossero di trecento cubiti di lunghezza, cinquanta di larghezza e trenta di altezza. Spiega in seguito che il primo dei tre piani era destinato agli animali selvaggi e domestici, mentre il secondo accoglieva gli esseri umani e che il terzo conteneva gli uccelli. Su ogni tavola appariva il nome di un profeta. Tre tavole mancanti, che simbolizzano dunque tre profeti, furono portate dall'Egitto da Og, figlio di Anaq, il solo dei giganti a sopravvivere al diluvio. Il corpo di Adamo fu posto nel mezzo della barca, per separare gli uomini dalle donne. Noé ed i suoi compagni passarono cinque o sei mesi a bordo dell'arca, alla fine dei quali Noè inviò uno corvo. Ma quest'ultimo si fermò per sfamarsi con una carogna, e fu maledetto da Noé, che inviò allora una colomba, ricordata da allora come l'amica dell'umanità. Al Masudi scrive che Allah ordinò alla terra di assorbire l'acqua del diluvio, e che alcuni territori poco solleciti ricevettero l'acqua salata come punizione, diventando così secchi ed aridi. L'acqua che non fu assorbita formò i mari e gli oceani, tanto che alcune acque del diluvio esistono ancora oggi.Noé lasciò l'arca il decimo giorno di Muharram, cioè l'Achoura. I superstiti costruirono una città ai piedi del monte Joudi, che battezzarono Thamanin (ottanta) a causa del loro numero. Noé chiuse allora l'arca e ne affidò la chiave a Sem. Yaqout al-Rumi (1179-1229) cita anche una moschea costruita da Noé e visibile alla sua epoca. Quanto a Ibn Battuta, riportò di avere superato il monte Joudi nel corso dei suoi viaggi (XIV secolo). I musulmani attuali, benché poco portati ad impegnarsi in una ricerca attiva dell'arca, pensano che esista ancora oggi, sulle scarpate più elevate della montagna.
Ipotesi documentale
Gli 87 versetti della storia dell'arca lasciano a volte un'impressione di confusione.
- Gli scettici sulla veridicità del testo si chiedono perché il racconto precisa a due riprese che l'umanità s'era corrotta ma Noè doveva essere salvato. A questa domanda i credenti rispondono che è nello stile della letteratura ebraica e greca (per il Nuovo Testamento) fare così.[16]
- Al versetto 6, 19 si parla di una coppia per ogni specie animale, e ai versetti 7, 2-3 di sette coppie. Per i credenti sette coppie valgono per gli animali puri.
- La salita delle acque durò quaranta giorni, (versetto 7, 17) ma poco dopo nella bibbia (7, 24) si parla di centocinquanta. I credenti chiariscono che in un versetto si dice che piovve per 40 giorni, e le acque salirono; nell'altro versetto si dice per quanto tempo le acque rimasero sopra la terra.
- Se nell'altro versetto si dice per quanto tempo le acque rimasero sopra la terra che fine fece il corvo del versetto 8, 6? La risposta è che il testo biblico afferma che il corvo andò e tornò.
Questo tipo di domande non nasce solo nella storia dell'arca e neppure nel solo libro della Genesi, ed i tentativi di dar loro una risposta hanno generato una vera e propria scuola di pensiero, quella dell'ipotesi documentale, che nell'analisi testuale dei primi cinque libri della Bibbia è diventata dominante.
Secondo questa ipotesi, i cinque libri del Pentateuco - Genesi, Esodo, Levitico, Numeri e Deuteronomio - furono redatti tutti insieme nel V secolo a.C., a partire da quattro fonti indipendenti. Ipotesi tuttavia scartata dai credenti, dal momento che coloro che vissero prima del V secolo a.C. erano già a conoscenza di tali testi e leggi. Si pensa che il racconto dell'arca trovi origine in due di queste, il documento sacerdotale (P) e il documento jahvista (J). Delle due, la fonte J è la più antica: fu redatta verosimilmente durante il regno di Giuda, a partire da testi e tradizioni ancora precedenti, e avrebbe visto la luce poco dopo la separazione dei due regni di Giuda e di Israele, verso il 920 a.C. Il racconto jahvista è più semplice di quello della fonte sacerdotale: Dio manda il diluvio per quaranta giorni; Noè, la sua famiglia e gli animali vengono salvati; poi Noè costruisce un altare e fa i sacrifici, e Dio s'impegna a non sterminare più nessun essere vivente con le acque del Diluvio. Il documento jahvista, tuttavia, non menziona in alcun modo l'alleanza conclusa tra Dio e Noè. Queste ipotesi, tuttavia, sono da prendere con le pinze, poiché prive di basi.
Il testo sacerdotale sembra essere stato elaborato in un'epoca compresa tra la caduta del regno di Israele al nord (722 a.C.) e quella del regno di Giuda al sud (586 a.C.). Gli elementi del documento sacerdotale sono molto più dettagliati di quelli della versione jahvista - si vedano ad esempio le istruzioni per la costruzione dell'arca e la cronologia precisa. Soprattutto, esso dà al racconto una dimensione propriamente teologica, aggiungendo il passaggio sull'alleanza tra Dio e Noè al capitolo 9 e menzionando, per la prima volta in assoluto nella Bibbia, un rito sacrificale ebraico: questi due elementi costituiscono il contrappeso logico del giuramento di Dio di non distruggere mai più nessun essere vivente con il Diluvio. Ugualmente alla fonte sacerdotale si devono le immagini del corvo (la colomba proviene dal testo jahvista), l'arcobaleno e l'evocazione delle fonti dell'abisso e delle cateratte del cielo, mentre il documento jahvista si limita a parlare di pioggia. Al pari della fonte jahvista, l'autore del testo sacerdotale deve aver avuto accesso a fonti e tradizioni più antiche, oggi perdute. Come l'ipotesi jahvista, quella sacerdotale, resta però tuttora senza basi.
L'arca e la nascita dell'analisi scientifica
Il Rinascimento fu teatro di speculazioni azzardate che sarebbero sembrate familiari a Origene o Sant'Agostino: fra gli animali, ad esempio, che si può dire della Fenice? Essendo questa creatura un unico esemplare, non si poteva concepire come l'arca avrebbe potuto accoglierne una coppia: una soluzione popolare voleva che la Fenice contenesse i princìpi del maschile e del femminile. Quanto alle sirene, che per loro natura spingono i marinai alla morte, sono state autorizzate a bordo? La risposta questa volta è negativa, poiché le tentatrici hanno preferito nuotare seguendo la scia dell'arca. E l'uccello del paradiso, che non ha gambe, ha dovuto per questa ragione volare senza interruzione all'interno dell'arca durante il viaggio?
Ma nella stessa epoca emerse una nuova scuola di pensiero che, senza mai rimettere in discussione la verità letterale della storia dell'arca, volle determinare le specifiche tecniche della barca di Noé con un rigore scientifico e naturalistico interamente nuovo. Così nel XV secolo, uno sconosciuto con il nome di Alfonso Tostada fece una relazione dettagliata della logistica interna dell'arca, che va dal trattamento del concime alla buona circolazione dell'aria fresca. Un grande geometra del XVI secolo, Johannes Buteo, calcolò le dimensioni interne del battello, riservando del posto per vari impianti come macine o forni. Questo modello fu in seguito in gran parte adottato da altri commentatori.
A partire dal XVII secolo, l'esplorazione del nuovo mondo fece gradualmente prendere coscienza della distribuzione mondiale delle specie: diventò necessario conciliare questa nuova conoscenza con la vecchia credenza che qualsiasi forma di vita posteriore al diluvio veniva dal monte Ararat. Una delle prime risposte fu che l'uomo si era disperso attraverso i continenti in seguito alla distruzione della torre di Babele, ed aveva portato gli animali con lui. Quest'ipotesi comportava tuttavia incoerenze: perché, si chiede Sir Thomas Browne nel 1646, gli indiani si presero i serpenti a sonagli e non i cavalli? "Che l'America abbondava di animali di preda e di animali nocivi, ma non conteneva questa creatura indispensabile, il cavallo, è molto strano[17] ”.
Browne che fu fra i primi a mettere in discussione la nozione di generazione spontanea, era un medico e uno scienziato dilettante, e non ha cercato di approfondire questa boutade. Ma alcuni commentatori biblici dell'epoca, ai primi posti dei quali Juste Lipse (1547-1606) e Athanasius Kircher (1601-1680) si misero a sottoporre la storia dell'arca ad un esame più rigoroso, cercando di conciliare il resoconto biblico con il progresso delle scienze naturali. Le ipotesi di lavoro così ottenute stimolarono lo studio della distribuzione geografica delle piante e degli animali, ed ebbero per conseguenza indiretta la nascita della biogeografia nel XVIII secolo. Gli scienziati iniziarono a stabilire legami tra i diversi climi e gli animali o piante che vi si erano adattati. Una teoria influente dell'epoca voleva che il monte Ararat dei tempi biblici sia stato diviso in molte zone climatiche, e che i climi vennero in seguito a spostarsi: gli animali seguirono il movimento ripopolando alla fine la terra. Un altro problema era quello del numero continuamente crescente delle specie conosciute: Kircher e altri naturalisti avevano ancora poche difficoltà ad inserire nell'interno dell'arca tutti gli animali allora conosciuti. Ma fin dall'epoca di John Ray (1627-1705), cioè pochi decenni dopo Kircher, il numero di animali conosciuti era aumentato ben oltre le proporzioni bibliche. Incorporare nell'arca tutta la diversità animale diventò un follia, e dal 1700, pochi scienziati erano ancora disposti a difendere un'interpretazione letterale dell'avventura di Noé[18].
La ricerca dell'Arca di Noè
Dall'epoca di Eusebio di Cesarea fino ai giorni nostri, la ricerca dei resti materiali dell'arca di Noé ha costituito un vera ossessione per numerosi cristiani - e non per i giudei o i musulmani, che sembrano essere meno interessati a ritrovare il relitto. Nel IV secolo si deve apparentemente ad un commentatore armeno denominato Faust di Bisanzio l'avere utilizzato per la prima volta il nome di "Ararat" per indicare una montagna precisa, piuttosto che una regione. L'autore affermava che l'arca era ancora visibile al vertice di questo rilievo montuoso, e riferisce come un angelo portò una santa reliquia tratta della nave ad un vescovo, che fu in seguito incapace di compiere la scalata per raggiungere i resti[19].. La tradizione vuole che l'imperatore bizantino Eraclio abbia tentato il viaggio nel VII secolo. Quanto ai pellegrini meno fortunati, dovevano affrontare le zone desertiche, i terreni accidentati, le distese innevate, i ghiacciai e le tempeste, senza contare i briganti, le guerre e, più tardi, la sfiducia delle autorità ottomane.
La regione fu sistemata e resa un po' più ospitale soltanto al XIX secolo, ciò che permise ad alcuni occidentali di partire alla ricerca dell'arca. Nel 1829, il medico Friedrich Parrott, dopo una scalata al monte Ararat, scriveva nel suo viaggio ad Ararat che "tutti gli Armeni sono fermamente convinti che l'arca di Noé resti tuttora sulla cima dell'Ararat e che, allo scopo di preservarla, nessun essere umano è autorizzato ad avvicinarsi alla città[20] ”. Nel 1876, James Bryce, storico, uomo politico, diplomatico, esploratore e professore di diritto civile alla università di Oxford, scalò oltre l'altitudine fino alla quale si possono trovare gli alberi e trovò una trave di legno lavorata a mano, di una lunghezza di 1, 30 m e di uno spessore di 12 cm. Lo identificò come un pezzo dell'arca[21].. Nel 1883 il British Prophetic Messenger e altri giornali segnalarono che una spedizione turca che studiava le valanghe aveva potuto scorgere i resti dell'arca.
Il problema dell'arca si fece più discreto nel XX secolo. Nel corso della guerra fredda, il monte Ararat si trovò infatti sulla frontiera molto sensibile tra la Turchia ed l'Unione sovietica, così come pure nel bel mezzo della zona d'attività dei separatisti curdi, di modo che gli esploratori si esponevano a rischi particolarmente elevati. L'ex astronauta James Irwin condusse due spedizioni sull'Ararat negli anni 1980, fu anche rapito una volta, ma non scoprì alcuna prova tangibile dell'esistenza dell'arca. "ho fatto tutto ciò che mi era possibile", ha dichiarato, “ma l'arca continua a sfuggirci[22].
All'inizio del XXI secolo esistono due principali percorsi di esplorazione: fotografie aeree o via satellite hanno messo da un lato in evidenza ciò che si decise di chiamare l 'anomalia dell'Ararat, che mostra non lontano dal vertice della montagna una macchia nera e sfocata sulla neve ed il ghiaccio. Ma occorre soprattutto citare qui il sito Durupinar (battezzato così in onore del suo scopritore, l'ufficiale turco di informazioni Ilhan Durupinar), vicino a Doğubeyazıt e a 25 chilometri a sud dal monte Ararat. Durupinar - che consiste in una grande formazione rocciosa con l'aspetto di una barca che esce dalla terra - ha ricevuto un'ampia pubblicità grazie all'avventuriero David Fasold negli anni '90. La località, rispetto al monte Ararat, ha il grande vantaggio di essere facilmente accessibile. Senza essere una grande attrazione turistica, riceve un flusso continuo di visitatori. Su Durupinar non c'è unanimità tra gli studiosi, alcuni sostengono che sia una formazione naturale altri invece negano con forza questa ipotesi. [23], la grande barca "pietrificata" ha sempre i suoi avvocati difensori e i suoi detrattori.
Nel 2004, un uomo di affari originario di Honolulu, Daniel McGivern, annunciò che intendeva finanziare una spedizione da 900.000 dollari sulla cima del monte Ararat nel mese di luglio dello stesso anno, per stabilire la verità sull'anomalia dell'Ararat. Dopo preparativi molto mediatici, che inclusero l'acquisto di immagini satellitari commerciali appositamente realizzate, le autorità turche gli rifiutarono tuttavia l'accesso alla cima, poiché quest'ultima è situata in una zona militare. La spedizione fu in seguito accusata dalla National Geographic Society di essere soltanto un colpo mediatico abilmente montato, dato che il suo capospedizione, il professore turco Ahmet Ali Arslan, era stato già accusato di avere falsificato fotografie della presunta arca. La CIA, che ha esaminato le immagini satellitari di McGivern, ha d'altra parte ritenuto che l'anomalia fosse costituita da "strati lineari di ghiaccio coperti da ghiaccio e dalla neve accumulati di recente".
Note
Voci correlate
Collegamenti esterni
- Alla ricerca dell'arca
- Varie ipotesi di ritrovamento dell'arca
- Le spedizioni di Angelo Palego
- Homepage italiana del sito Noah's Ark
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