Sunyata

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Śūnyatā (devanāgarī: शून्यता, pāli: suññatā, cinese: 空 pinyin: kōng, giapponese: , tibetano: stong-pan-yid, tr.it. Vacuità) è un termine sanscrito che indica una delle dottrine fondamentali nel Buddhismo.

La dottrina dello Śūnyatā acquisisce tuttavia significati diversi e diverso ruolo nelle varie scuole che si sono succedute nel corso della Storia del Buddhismo, alcune delle quali tutt'oggi esistenti. In questo senso è preferibile suddividere l'esposizione di questa dottrina a seconda dei testi di riferimento o delle scuole che la insegnano.

Calligrafia di Kanjuro Shibata XX.
Rappresenta l'Ensō (円相) che, nella simbologia del Buddhismo Zen, indica sia l'universo che la vacuità, quest'ultima intesa come Realtà assoluta

Indice

La dottrina della vacuità negli Āgama-Nikāya del Buddhismo dei Nikāya e del Buddhismo Theravāda

La presenza nelle più antiche scritture buddhiste dell'attribuzione al Buddha Śākyamuni dell'insegnamento della "vacuità" è indubitabile come è indubitabile, in queste stesse scritture, la preoccupazione del fondatore del Buddhismo che questo insegnamento potesse essere addirittura dimenticato. Così afferma il Buddha Śākyamuni nel Samyutta-nikāya del Canone pāli: Template:Q Ma se nel Majjhima-nikāya [1],il Buddha Śākyamuni indica l'irrealtà, la vacuità delle cose, come costantemente nei vari agama-nikaya espone l'insegnamento dell'anatta ovvero della "vacuità" intesa come inesistenza di una sostanzialità inerente al soggetto che percepisce i fenomeni, è nel Culasuññata Sutta[2], dove il Buddha Śākyamuni entra nel dettaglio di questa dottrina come esperienza interiore quando, rispondendo ad Ānanda su una sua precedente affermazione nella quale sosteneva di "dimorare pienamente in uno stato di vacuità" afferma: Template:Q Nel Culasuññata Sutta il Buddha Śākyamuni non si ferma a questo "svuotamento" dalle "ansie" del mondo ma, in un incessante processo di svuotamento di tutti i riferimenti, ovvero dell'idea di 'foresta', dell' 'idea di terra', dell' 'infinità dell'idea di spazio', dell' 'infinità dell'idea di coscienza', della 'nullità', della 'né percezione né non percezione', del 'raccoglimento mentale privo di segni', giunge a concludere che: Template:Q Riccardo Venturini, in riferimento a questo sutta, nota che Template:Q Questo, secondo Riccardo Venturini, implica che Template:Q

La dottrina della vacuità nei Prajñāpāramitāsūtra

Template:Mahayana Nei trentotto testi che costituiscono l'insieme dei Prajñāpāramitāsūtra (composti tra il I secolo a.C. e il VII secolo d.C.), la dottrina della 'vacuità' riveste un ruolo centrale e fondamentale. Si può sostenere che fin dai Prajñāpāramitāsūtra più antichi, l'estensore degli stessi, che potrebbe voler riportare degli insegnamenti dello stesso Buddha Śākyamuni non accolti negli Āgama-Nikāya , accompagni la dottrina della vacuità con la pāramitā prajñā ritenuta l'ultima e la più importante già nelle scuole del Buddhismo dei Nikāya (scuola Sarvāstivāda).

Nel complesso la letteratura dei Prajñāpāramitāsūtra elenca venti tipi di vacuità (sanscrito viṃśati śūnyatā):

  1. Vacuità degli organi di senso (adhyatana śūnyatā).
  2. Vacuità dei fenomeni percepiti (bahirdhā śūnyatā).
  3. Vacuità degli organi di senso e dei fenomeni percepiti (adhyatanabahirdhā śūnyatā).
  4. Vacuità della vacuità (śūnyatā śūnyatā).
  5. Vacuità dello spazio (mahā śūnyatā).
  6. Vacuità dell'assoluto (paramārtha śūnyatā).
  7. Vacuità dei fenomeni condizionati (saṃskṛta śūnyatā ).
  8. Vacuità dei fenomeni non condizionati (asaṃskṛta śūnyatā ).
  9. Vacuità di ciò che è al di là dell'eterno e del nulla (atyanta śūnyatā ).
  10. Vacuità di ciò né inizia né termina, del Samsara (anavaraga śūnyatā).
  11. Vacuità di ciò che degli insegnamenti che vanno accolti (anavakara śūnyatā ).
  12. Vacuità dell'intima natura dei fenomeni (prakṛti śūnyatā).
  13. Vacuità di qualsiasi fenomeno o dharma (sarvadharma śūnyatā ).
  14. Vacuità delle carattetistiche di ogni singolo dharma (svalakṣaṇa śūnyatā).
  15. Vacuità dell'inconcepibile (anupalambha śūnyatā).
  16. Vacuità dei fenomeni privi di identità (abhāvasvabhāva śūnyatā ).
  17. Vacuità dei fenomeni che posseggono delle sostanzialità (bhāva śūnyatā).
  18. Vacuità di ciò che è privo di sostanzialità (abhāva śūnyatā).
  19. Vacuità dell'identità (svabhāva śūnyatā).
  20. Vacuità della natura trascendente (parabhāva śūnyatā).

Tali "vacuità" stanno ad indicare che ogni forma, esistenza o non esistenza, è vacuità e ogni vacuità è ognuna di queste.
Così come recita uno dei Prajñāpāramitāsūtra più noti, il Prajñāpāramitā Hṛdaya sūtra (Il Sutra del Cuore della perfezione di saggezza): Template:Quote L'insieme del corpus scritturale dei Prajñāpāramitāsūtra sembrerebbe contenere una serrata critica della dottrina dei dharma delle scuole del Buddhismo dei Nikāya, segnatamente della scuola Sarvāstivāda, le quali assegnavano esistenza reale ai costituenti (dharma) dei fenomeni, anche se le stesse denunciavano la 'vacuità' del soggetto che questi fenomeni percepiva, ovvero negavano la soggettività, l'io individuale (dottrina dell'anātman). Questa "doppia vacuità" (vacuità del soggetto percipiente,anātman, e dei fenomeni percepiti) dei Prajñāpāramitāsūtra andava a dunque a criticare i contenuti abhidharmici della scuola Sarvāstivāda, la quale giungeva a sostenere la presenza, nel soggetto che percepisce, di un dharma particolare, il prapti, che fungeva da ricettacolo per la sua retribuzione karmica. È chiaro che la dottrina della vacuità dei Prajñāpāramitāsūtra ha dei precisi fondamenti, come abbiamo visto, negli Āgama-Nikāya , tuttavia essa intende radicalizzare questi fondamenti come il cuore (hṛd) della dottrina del Buddha Śākyamuni (Buddhadharma).

In un altro famoso Prajñāpāramitāsūtra, il Vajracchedikā-prajñāpāramitā-sūtra (Sutra della perfezione della saggezza che recide come un diamante, o più brevemente Sutra del diamante) si giunge, peraltro coerentemente, a sostenere che Template:Q

La dottrina della vacuità nelle scuole Mahāyāna Madhyamaka e Cittamātra

La scuola Madhyamaka è stata fondata da Nāgārjuna nel II d.C. È dibattuto se, per quanto concerne il periodo del suo fondatore, essa possa essere inserita nel contesto degli insegnamenti Mahāyāna. La ragione di questi dubbi è fondata sul fatto che nelle opere attribuite con sufficiente contezza al filosofo indiano, non compare mai l'utilizzo del termine Mahāyāna né i riferimenti ai Prajñāpāramitāsūtra.

L'opinione di molti studiosi, tuttavia, si fonda sulla natura di queste opere che sono didattiche e non polemiche. Intendono dimostrare la validità dei propri contenuti piuttosto che svilire l'autorevolezza delle fonti avversarie magari facendo leva su altre fonti. È possibile quindi che Nāgārjuna abbia volontariamente evitato qualsivoglia riferimento ai Prajñāpāramitāsūtra per evitare di discutere con i suoi interlocutori Sarvāstivāda sulla loro autorevolezza.

D'altronde è innegabile, che a partire dalla sua opera maggiore, il Madhyamakakārikā [3], egli non fa che ribadire la dottrina della vacuità esattamente come insegnata nei Prajñāpāramitāsūtra.

Nāgārjuna si presenta dunque come un maestro buddhista che vuole dimostrare la fondatezza della critica dei Prajñāpāramitāsūtra all'Abhidharma Sarvastivada. Per Nāgārjuna, come per i Prajñāpāramitāsūtra, il Buddha Śākyamuni aveva indicato, oltre l'impermanenza temporale (anitya), una ulteriore qualità, il śūnyatā di tutti i fenomeni: essi erano vuoti anche di una stessa loro identità in quanto dipendevano uno dall'altro sul piano temporale del presente, dell'immediato: esiste A solo in quanto esiste anche un non A[4].

Tutti i fenomeni (dharma) sono quindi privi di identità, sono vuoti di identità. Tutti i dharma, secondo la lettura dell'insegnamenti del Buddha da parte di Nāgārjuna, sono vuoti: poiché nessun fenomeno possiede una natura indipendente, si può dire che tutto ciò che esiste è vuoto. L'esperienza della vacuità è la via che porta al "Risveglio".

Ma la vacuità non può essere conosciuta con il pensiero ordinario (o "convenzionale") che tratta dei fenomeni come se fossero indipendenti e stabili, dotati di natura immutabile e certa. Gran parte dell'opera di Nāgārjuna consiste pertanto in una critica raffinata delle diverse dottrine che sottinendono l'esistenza dei fenomeni in quanto tali, e che vengono per questo ridotte all'assurdo (prasaṅga). Da parte sua, Nāgārjuna non presenta alcuna dottrina: Template:Q

Poiché l'esperienza della vacuità non è compatibile con alcuna costruzione filosofica. L'idea stessa della vacuità rischia di essere pericolosa, se la vacuità viene entificata Template:Q

La dottrina della vacuità nelle scuole Mahayana del Sutra del Loto e del Buddhismo Chan e Zen

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La dottrina della vacuità nelle scuole Vajrayana sino-giapponesi e tibetane

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Note

  1. Template:Q
  2. Culasuññata Sutta (Piccolo discorso sulla Vacuità). Majjhima-nikāya, 121. In: La Rivelazione del Buddha - I testi antichi. Milano, Mondadori, 2001, pagg. 375-82. Vedi qui: Culasuññata Sutta, Majjhima-nikāya, 121
  3. Nāgārjuna. Le stanze del cammino di mezzo (Madhyamakakārikā). Torino, Boringhieri, 1979.
  4. Così Kajyama Yuichi: «Nagarjuna, however, introduces into that theory the concept of mutual dependency. Just as the terms long and short take on meaning only in relation to each other and are themselves devoid of independent qualities (longness or shortness), so too do all phenomena (all dharmas) lack own being (svabhava).» in Encyclopedia of Religion Usa, Mac Millan, 2004, pag. 5552.

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