Catalhoyuk

Da Ufopedia.

Zone di influenza delle diverse culture nel periodo medio Halaf, 5600-4500 a.C. (le dimensioni del Golfo Persico sono quelle ipotizzate per il 3000 a.C.)</br>Legenda (da sudest a nordovest approssimativamente): Template:Legenda Template:Legenda Template:Legenda Template:Legenda Template:Legenda Template:Legenda Template:Legenda Template:Legenda

Çatalhöyük (pronuncia turca [tʃaˈtaɫhœˌjyk]; spesso scritto Çatal Hüyük fuori dalla Turchia; da çatal, "forcella"[1] e hüyük, "collina"[2], variante dialettale della parola höyük) è un importante centro abitato di epoca neolitica dell'Anatolia (in Turchia), nella Provincia di Konya, ai margini meridionali della pianura.[3]

Il sito, ricostruito lungo una sequenza di 18 livelli stratigrafici che vanno dal 7400 al 5700 a.C. ca., occupa una superficie di 13,5 ettari, dei quali solo un 5% è stato indagato con scavi archeologici.[4]

È stato distrutto a causa di un incendio nel 5880 a.C.

È stato scoperto alla fine degli anni cinquanta; James Mellaart vi ha condotto campagne di scavi tra il 1961 ed il 1965. Dal 1993, ulteriori ricerche sono condotte da Ian Hodder.[5]

Il sito archeologico si trova 60 chilometri a sud della città di Konya ed è visitabile da parte dei turisti.

Indice

Schema abitativo e culto dei morti

La "Dea Madre" seduta, con accanto due leonesse: originariamente da Çatalhöyük, è un reperto neolitico (6000-5500 a.C. ca.), oggi al Museo della Civilizzazione Anatolica, Ankara.

Il villaggio era costruito secondo una logica completamente diversa da quella moderna: le case erano monocellulari e addossate l'una all'altra; essendo poi di altezze diverse, ci si spostava passando da un tetto ad un altro e per molte case l'ingresso su quest'ultimo era l'unica apertura. La circolazione e gran parte delle attività domestiche avveniva dunque al livello delle terrazze. L'assenza di aperture verso l'esterno, nonché di porte a livello del terreno, difendeva la comunità dagli animali selvatici e da eventuali incursioni di popolazioni confinanti, anche se resta oscuro il livello di conflittualità tra le diverse comunità dell'epoca. L'unica via d'accesso all'intero complesso erano scale che potevano facilmente essere ritirate in caso di pericolo.[6]

A Çatalhöyük ogni abitazione era divisa in due stanze. Quella più grande aveva al centro un focolare rotondo ed intorno dei sedili e delle piattaforme elevate per dormire; in un angolo c'era un forno per cuocere il pane. La stanza più piccola era una dispensa per conservare il cibo: tra una casa e l'altra c'erano dei cortili usati come stalle per capre e pecore. Circa un terzo delle case presenta stanze decorate e arredate apparentemente per scopi cultuali: sulle pareti, infatti, sono state rinvenute pitture e sculture di argilla che raffigurano teste di animali (qualcosa di analogo ai bucrani) e divinità (specialmente femminili, legate al culto domestico della fertilità e della generazione).[7] Queste abitazioni non vanno pensate come santuari: il culto è ancora solo domestico e dà conto di una "ossessione simbolica", quella di un aggregato di umani che vivono a stretto contatto con i propri morti e che ha da tempo istintivamente associato penetrazione sessuale e sepoltura dei semi per l'agricoltura.[7] Gli abitanti della città di Çatalhöyük seppellivano i propri morti, divisi per sesso, sotto il letto. Questi, prima di essere sistemati sotto i letti, venivano esposti all’aperto in attesa che gli avvoltoi procedessero ad una completa escarnazione, con lo stesso sistema usato ancora oggi in India ed in Persia, dove i cadaveri sono depositati nelle cosiddette Torri del Silenzio.[8]

Economia e commercio

Teste di toro neolitiche da Çatalhöyük (Museo della Civilizzazione Anatolica, Ankara).

Fra i ritrovamenti relativi alla cultura materiale sono da segnalare l'abbondante produzione ceramica (via via lustrata chiara, poi scura, poi ingubbiata di rosso, ma non ancora dipinta, come poi accadrà nel neolitico anatolico[3]) e la raffinata industria litica, realizzata per il 90% in ossidiana, pietra vulcanica vetrosa di cui la regione è ricca e di cui è attestato un intenso commercio locale fin dall'epoca protostorica[9].

Lo schema economico di base è quello tipicamente agro-pastorale, ma si segnalano scelte ardite, quali quella di coltivare frumento invece che orzo e quella di allevare bovini invece che caprovini.[3]

Note

  1. Maurizio Stasi, Atlantide: la verità, Armando Editore, 2007, p. 143.
  2. Delfino Ambaglio e Daniele Foraboschi (a cura di), Le civiltà dell'antichità 1, ed. Scolastiche Mondadori, Milano, 1994, p. 71.
  3. 3,0 3,1 3,2 Liverani, 2009, cit., p. 83.
  4. Ian Hodder, The Leopard's Tale, 2010, Thames & Hudson, London.
  5. Dal sito ufficiale.
  6. Cfr. Liverani, 2009, cit., p. 83-4.
  7. 7,0 7,1 Cfr. Liverani, 2009, cit., p. 84.
  8. Template:Cita web
  9. Liverani, 2009, cit., pp. 80 e 83.

Bibliografia

Voci correlate

Collegamenti esterni

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