Dharma

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Il dharmacakra, simbolo della religione buddhista, situato in cima al Tempio Jokang, a Lhasa in Tibet . Le gazzelle poste ai lati della Ruota del Dharma sono a ricordo del luogo, il Parco delle gazzelle, in cui il Buddha Śākyamuni predicò per la prima volta la dottrina buddhista.

Dharma (in devanāgarī: "धर्म") è un termine sanscrito che presso le religioni dell'Asia meridionale riveste numerosi significati. Può essere tradotto come "Dovere", "Legge", "Legge cosmica", "Legge Naturale", oppure "il modo in cui le cose sono" o come equivalente del termine occidentale "Religione"[1][2].

La parola Dharma è usata nella maggior parte delle filosofie religiose o religioni di origine indiana: Induismo (Sanātana Dharma), Buddhismo (Buddha Dharma), Jainismo (Jain Dharma) e Sikhismo (Sikh Dharma).

Indice

Significati e origini della parola Dharma e Ṛta nella cultura vedica

Il termine Dharma deriva dalla radice sanscrita dhṛ traducibile in italiano come "fornire una base", ovvero come "fondamento della realtà", "verità", "obbligo morale", "giusto", "come le cose sono" oppure "come le cose dovrebbero essere".

Nella sua forma più antica, dharmāṇ, il termine compare per la prima volta nel Ṛgveda collegato alla nozione di Ṛta (ऋत) e alle due divinità di Mitra e Varuṇa.

« O guardiani dell'ordine cosmico (Ṛta), o Dei le cui leggi (Dharma) sono sempre realizzate, voi salite sul vasto carro del cielo più alto; a chi, Mitra e Varuṇa, mostrate il vostro favore, la pioggia del cielo dona abbondanza di miele »

Ṛgveda, V 63,1 a-c

« Voi Mitra e Varuṇa, o Dei sapienti, grazie alla forza misteriosa degli asura custodite secondo la vostra Legge le norme cerimoniali (vrata) che sostengono l'intero mondo (Dharma) secondo l'ordine cosmico (Ṛta), voi avete collocato il sole nel cielo, questo carro brillante »

Ṛgveda, V 63,7 a-c

Questi brani indicano come a partire dalla stessa cultura vedica, l'ordine cosmico (Ṛta) e ciò che 'sostiene' l'intero mondo (Dharma), ovvero ciò che si oppone al caos, è considerato protetto dall'azione degli dèi (deva) e dai riti cerimoniali degli uomini a favore degli stessi.

« La sostanziale differenza tra Ṛta e Dharma risiede nel fatto che mentre ṛta è una legge impersonale, dharman caratterizza quelle azioni personali che generano o mantengono l'ordine cosmico »

William K. Mahony. Op. cit.

In ultima analisi il termine Dharma assurge a significato di ciò che è coerente con l'ordine dell'universo, quindi di "verità" e di giustizia.

Allo stesso modo molti Dei vedici assumono il nome di Dharma[3] e Dharma stesso acquisisce lo status di divinità[4].

Il Dharma nel Brāhmanesimo e nell'Induismo

Con la composizione dei Brāhmaṇa (a partire dal X secolo fino al VII secolo a.C.), commentari sacerdotali dei più antichi Veda, il termine Dharma si impone viepiù a significare le azioni corrette che consentono al Cosmo di mantenere il suo ordine.

Così Gianluca Magi:

« Originariamente, nel periodo vedico e in particolar modo nei testi sacerdotali chiamati Brāhmaṇa - testi in cui domina l'idea per cui il rito sacrificale è il produttore, l'organizzatore e e il reggitore dell'ordine cosmico stesso - il termine Dharma indica quella norma di armonia perché un universo rimanga in equilibrio e possa reggersi »

Gianluca Magi. Op. cit.

Il mantenimento dell'ordine del Cosmo non poteva che riflettersi nel destino dell'individuo che se ne faceva portatore, ovvero nel suo karman, ne consegue che progressivamente i due termini vengono a collegarsi fino a che, nel II secolo a.C.

« Infatti l'essere umano che adempie al Dharma così come esposto dal canone rivelato e dalla tradizione ottiene fama in questo mondo e incomparabile felicità dopo la morte »

Manusmṛti (Le leggi di Manu) II,9

Così William K. Mahony:

« Da questa posizione sacerdotale ed escatologica sorge una dimensione normativa del dharma nella quale il termine viene a significare la somma totale dei propri obblighi per il cui mezzo ci si "adegua" al mondo naturale e in particolar modo al mondo sociale »

Op. cit.

« I nati due volte non devono invitare una vedova ad [avere figli con] un altro uomo, poiché invitandola così essi distruggono il Dharma »

Manusmṛti (Le leggi di Manu) IX, 64

Quindi rispettare il Dharma diviene il rispetto di una serie di norme che sono alla base dell'universo naturale e di quello sociale il cui ordine va sempre garantito. L'individuo inserito in questo contesto deve accertarsi di rispettare le norme dharmiche della propria casta sociale (varṇa) e del proprio periodo di vita (āśrama).

Questi insieme di criteri normativi. denominati varṇāśramadharma[5] fanno sì che l'hindū di casta brahmanica sa che il suo compito è quello di compiere i riti per sollecitare la benevolenza dei deva nei confronti dell'intera comunità; lo kṣatrya invece è consapevole del suo compito di amministratore e difensore, così come il vaiśya e lo śūdra nei loro rispettivi ruoli[6].

Allo stesso modo, a seconda degli stadi della vita, il giovane studente (brahmacārin) deve impegnarsi a studiare le sacre scritture; divenuto capofamiglia (grhastha) deve sostenerla e proteggerla dando continuazione all'intera comunità; trasformatosi in asceta delle foreste (vanaprastha) beneficia la comunità con le sue offerte rituali prima di entrare nella liberazione totale del saṃnyāsin[6].

Accanto al varṇāśramadharma (Dharma della propria condizione individuale detto anche svadharma) si pone il più generale sādhāraṇadharma (anche sāmānyadharma), il Dharma degli imperativi morali generali comuni a tutti gli hindū ovvero quelli elencati, ad esempio, nello Arthaśāstra (I,3,13), nel Manusmṛti o nell'ancora più completo Vāmana Puraṇa che si possono esemplificare nelle regole del tipo 'non uccidere', 'non mentire', 'mantenere la purezza' etc..

E se in alcune circostanze eccezionali (ad es. calamità naturali) l'intera normativa dharmica può essere sospesa (āppadharma), come nel caso di un brahmano che assume i compiti di uno kṣatrya, resta che

« Talora, tuttavia, gli obblighi derivanti dallo svadharma contraddicono direttamente gli imperativi del sādhāraṇadharma, e una persona che si sforzi di prendere una decisione etica deve scegliere tra esigenze contrapposte »

William K. Mahony op. cit.

Così se tradizionalmente la scelta della prevalenza tra gli imperativi etici contraddittori (ad esempio l'uccisione di un nemico in guerra di contro alla proibizione della violenza) viene affidata alla interpretazioni della letteratura vedica e dei suoi commentari (quindi dai Veda fino al Manusmṛti passando per i Puraṇa e i Kalpasūtra), questi stessi testi prevedono che se le śrūti (Veda, Brāhmaṇa, Āraṇyaka e Upaniṣad) e le smṛti (i sei Vedāńga, il Mahābhārata, il Ramāyāna e i Puraṇa) non riescono a risolvere un dilemma la soluzione possa venire offerta da una persona riconosciuta come giusta (sadācāra, da qui il sadācāradharma) o che si comporta in modo conforme ai Veda (siṣṭācāra da qui il siṣṭācāradharma).

Temi di non poco conto nella tradizione indiana che hanno riverberato anche nella legislazione moderna.

Ariel Glucklich[7] evidenzia come la modalità interpretativa, unitamente alla possibilità dell'āppadharma e delle regole stabilite per il Kālīyuga (Kālīvarjyas), ha consentito di rovesciare molte norme vediche. Così oggi un giovane di casta brāhmaṇa può studiare sotto un insegnante di casta kṣatrya o, ad esempio nel passato, la Bengal Satī Regulation del 1829 (che proibì l'immolazione delle mogli sulle pire dei mariti defunti, usanza peraltro contestata da diversi esegeti indiani come non vedica) sono frutto di un profondo dibattito religioso sulla correttezza dharmica dell'applicazione delle norme della tradizione religiosa.

Il Dharma nel buddhismo

Nel Buddhismo, Dharma indica gli insegnamenti del Buddha, a partire dall'origine del duḥkha (la sofferenza), la pratica di tali insegnamenti, la via verso l'Illuminazione e di conseguenza il Buddhismo stesso.

Il Dharma è anche la Legge universale che esprime l'intera realtà stessa e che il Buddhismo s'impegna a trasmettere e spiegare.

Il Dharma buddhista è simboleggiato da una ruota, il dharmacakra.
Il Dharma è il secondo dei Tre gioielli del Buddhismo.

Il discorso sul Dharma (sanscrito dharmyāṃ kathām) è un discorso pubblico tenuto da un maestro buddhista, sugli insegnamenti del Buddhismo stesso.

Il termine dharma, sempre nel Buddhismo, quando scritto con l'iniziale minuscola, indica anche i diversi fenomeni osservabili, ovvero: tutti gli oggetti conoscibili, quelli della mente, gli oggetti materiali, le regole e le tradizioni religiose e i comportamenti virtuosi.

Il Dharma nel Jainismo

Con i termini dharma e adharma i giainisti indicano due sostanze del tutto particolari: sono di fatto i presupposti del movimento e della stasi. Per comprenderne il senso la tradizione fa l’esempio dell’acqua per i pesci: il pesce è in grado di nuotare per sua capacità propria ma non potrebbe farlo se non avesse il mezzo che garantisse la possibilità di esercitare questa sua capacità. L’acqua, che è il mezzo che garantisce al pesce la capacità di nuotare, è dharma. Stesso discorso vale per adharma, la quiete, la stasi. Non sarebbe possibile stare fermi se non ci fosse questa sostanza: come l’ombra di un albero garantisce la possibilità di riposo e ristoro nelle giornate assolate, così adharma garantisce la possibilità di stare fermi.

Il Dharma nel Sikhismo

Il Sikh Dharma è il percorso per coloro che cercano di stabilire una connessione stabile e duratura con la loro divinità interiore. Come ogni tradizione spirituale, il Sikh Dharma ha una sua antica discendenza, una filosofia, delle linee guida per vivere in purezza e una lunga storia di Maestri e Santi. Nella sua essenza, il Sikh Dharma offre un percorso spirituale pratico ed efficace per la vita di tutti i giorni. A prescindere dall’orientamento spirituale o dal background culturale o sociale da cui uno proviene, chiunque può godere dei benefici di questa pratica e trovare una forte connessione con la propria essenza divina.

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Note

  1. Template:Citazione
  2. Gianluca Magi precisa tuttavia che il termine Dharma Template:Citazione
  3. Ad esempio Agni diviene Svadharma.
  4. Ariel Glucklich. Dharma, in Encyclopedia of Religion vol.4. NY, MacMillan, 2004, pp. 2327 e segg.
  5. Viṣṇusmṛti I,48 e Yājñavalkyasmṛti I.1.
  6. 6,0 6,1 Manusmṛti I, 111-118.
  7. op.cit.

Bibliografia

Curiosità

Voci correlate

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