Gobekli Tepe
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Göbekli Tepe è un sito archeologico presso la città di Şanlıurfa nell'odierna Turchia, presso il confine con la Siria, risalente all'inizio del Neolitico, (Neolitico preceramico A) o alla fine del Mesolitico.
Vi è stato rinvenuto il più antico esempio di tempio in pietra (11500-8000 a.C. circa), la cui erezione dovette interessare centinaia di uomini nell'arco di tre o cinque secoli.
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Localizzazione
Il sito si trova su una collina artificiale alta circa 15 m e con un diametro di circa 300 m, situata sul punto più alto di un'elevazione di forma allungata, che domina la regione circostante, tra la catena del Tauro e il Karaca Dağ e la valle dove si trova la città di Harran.
Il sito utilizzato dall'uomo avrebbe avuto un'estensione da 300 a 500 m²
Storia degli scavi
Il sito archeologico fu riconosciuto nel 1963 da un gruppo di ricerca turco-statunitense, che notò diversi consistenti cumuli di frammenti di selce, segno di attività umana nell'età della pietra.
Il sito fu nuovamente riscoperto trent'anni dopo da un pastore locale, che notò alcune pietre di strana forma che spuntavano dal terreno. La notizia arrivò al responsabile del museo della città di Şanlıurfa, che contattò il ministero, il quale a sua volta si mise in contatto con la sede di Istanbul dell'Istituto archeologico germanico. Gli scavi furono iniziati nel 1995 da una missione congiunta del museo di Şanlıurfa e dell'Istituto archeologico germanico sotto la direzione di Klaus Schmidt. Nel 2006 gli scavi passarono alle università tedesche di Heidelberg e di Karlsruhe.
Resti archeologici
Gli scavi rimisero in luce un santuario monumentale megalitico, costituito da una collina artificiale delimitata da muri in pietra grezza a secco.
Sono inoltre stati rinvenuti quattro recinti circolari, delimitati da enormi pilastri in calcare pesanti oltre 10 tonnellate ciascuno, probabilmente cavati con l'utilizzo di strumenti in pietra. Secondo il direttore dello scavo le pietre, drizzate in piedi e disposte in circolo, simboleggerebbero assemblee di uomini.
Sono state riportate in luce circa 40 pietre a forma di T, che raggiungono i 3 m di altezza. Per la maggior parte sono incise e vi sono raffigurati diversi animali (serpenti, anatre, gru, tori, volpi, leoni cinghiali, vacche, scorpioni, formiche). Alcune incisioni vennero volontariamente cancellate, forse per preparare la pietra a riceverne di nuove. Sono inoltre presenti elementi decorativi, come insiemi di punti e motivi geometrici.
Indagini geomagnetiche hanno indicato la presenza di altre 250 pietre ancora sepolte nel terreno.
Un'altra pietra a forma di T, estratta solo a metà dalla cava, è stata rinvenuta a circa 1 km dal sito. Aveva una lunghezza di circa 9 m ed era probabilmente destinata al santuario, ma una rottura costrinse ad abbandonare il lavoro.
Oltre alle pietre sono presenti sculture isolate, in argilla, molto rovinate dal tempo, che rappresentano probabilmente un cinghiale o una volpe. Confronti possono essere fatti con statue del medesimo tipo rinvenute nei siti di Nevali Cori e di Nahal Hemar. Gli scultori dovevano svolgere la loro opera direttamente sull'altopiano del santuario, dove sono stati rinvenute anche pietre non terminate e delle cavità a forma di scodella nella roccia argillosa, secondo una tecnica già utilizzata durante l'epipaleolitico per ottenere argilla per le sculture o per il legante argilloso utilizzato nelle murature.
Nella roccia sono anche presenti raffigurazioni di forme falliche, che forse risalgono ad epoche successive, trovando confronti nelle culture sumere e mesopotamiche (siti di Byblos, Nemrik, Helwan e Aswad).
Interpretazioni
Le raffigurazioni di animali hanno permesso di ipotizzare un culto di tipo sciamanico, non distante da quelli presenti nelle culture sumera e mesopotamiche.
Lo studio degli strati di detriti accumulati sul fondo del lago di Van in Anatolia ha prodotto importanti informazioni sui cambiamenti climatici del periodo, individuando una consistente crescita della temperatura intorno al 9500 a.C.. I resti di pollini presenti nei sedimenti hanno permesso di ricostruire una flora composta querce, ginepri e mandorli. Fu forse il cambiamento climatico a determinare una progressiva sedentarizzazione delle genti che costruirono il sito.
All'inizio degli anni '90 lo studioso di preistoria Jacques Cauvin ha ipotizzato che lo sviluppo delle concezioni religiose avrebbe costituito una spinta alla sedentarizzazione, spingendo gli uomini a raggrupparsi per celebrare riti comunitari.
La presenza di una struttura monumentale dimostra che anche precedentemente dallo sviluppo dell'agricoltura e nell'ambito di un'economia di caccia e raccolta, gli uomini possedevano mezzi sufficienti per erigere strutture monumentali. Secondo il direttore dello scavo fu proprio l'organizzazione sociale necessaria alla creazione di questa struttura a favorire uno sfruttamento pianificato delle risorse alimentari e lo sviluppo delle prime pratiche agricole. Il sito si trova infatti nella regione della Mezzaluna fertile, dove era presente naturalmente il grano selvatico.
Nessuna traccia di piante o animali domestici è stata tuttavia rinvenuta negli scavi, e mancano inoltre resti di abitazioni. A circa 4 m di profondità, ossia ad un livello corrispondente a quello della costruzione del santuario, sono stati rinvenute tracce di strumenti in pietra (raschiatoi e punte per frecce, insieme ad ossa di animali selvatici (gazzelle e lepri), semi di piante selvatiche e legno carbonizzato, che testimoniano la presenza in questo periodo di un insediamento stabile.
Intorno all'8000 a.C. il sito venne deliberatamente abbandonato e volontariamente seppellito con terra portata dall'uomo.
Galleria immagini
Collegamenti esterni
Bibliografia
- Badisches Landesmuseum Karlsruhe (Hrsg.): Die ältesten Monumente der Menschheit. Vor 12.000 Jahren in Anatolien, Begleitbuch zur Ausstellung im Badischen Landesmuseum vom 20. Januar bis zum 17. Juni 2007. Theiss, Stuttgart 2007, ISBN 978-3-8062-2072-8.
- MediaCultura (Hrsg.): Die ältesten Monumente der Menschheit. Vor 12.000 Jahren in Anatolien. DVD-ROM. Theiss, Stuttgart 2007, ISBN 978-3-8062-2090-2.
- David Lewis-Williams et David Pearce : An Accidental revolution? Early Neolithic religion and economic change, Minerva, 17 #4 (July/August, 2006), pp. 29-31.
- K. Pustovoytov : Weathering rinds at exposed surfaces of limestone at Göbekli Tepe. Neo-lithics 2000, 24-26 (14C-Dates).
- K. Schmidt : Göbekli Tepe, Southeastern Turkey. A preliminary Report on the 1995-1999 Excavations, Palèorient 26/1, 2001, 45-54.
- K. Schmidt : Sie bauten die ersten Tempel. Das rätselhafte Heiligtum der Steinzeitjäger. Munich: C. H. Beck Verlag 2006, ISBN 3-406-53500-3.
- K. Schmidt : Göbekli Tepe and the rock art of the Near East, TÜBA-AR 3 (2000) 1-14.
- Klaus Schmidt : Sie bauten die ersten Tempel. Das rätselhafte Heiligtum der Steinzeitjäger. München 2006, ISBN 3-406-53500-3.
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- Klaus Schmidt: Göbekli Tepe, Southeastern Turkey. A preliminary Report on the 1995–1999 Excavations. In: Palèorient CNRS Ed., Paris 26.2001,1, 45–54, ISSN 0513-9345.
- Klaus Schmidt: Frühneolithische Tempel. Ein Forschungsbericht zum präkeramischen Neolithikum Obermesopotamiens. in: Mitteilungen der deutschen Orient-Gesellschaft. Berlin 130, 1998, 17–49, ISSN 0342-118X.
- K. Pustovoytov: Weathering rinds at exposed surfaces of limestone at Göbekli Tepe. In: Neo-lithics. Ex Oriente, Berlin 2000, 24–26 (14C-Dates).
- Klaus-Dieter Linsmeier: Eine Revolution im großen Stil. Interview mit Klaus Schmidt. In: Abenteuer Archäologie. Kulturen, Menschen, Monumente. Spektrum der Wissenschaft Verl.-Ges., Heidelberg 2006,2, ISSN 1612-9954.
- J. E. Walkowitz: Quantensprünge der Archäologie. In: Varia neolithica IV, 2006, ISBN 3-937517-43-X.